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Data: 02/02/2017 -

Lampard chiude la porta: eroe di Stamford Bridge, 21 anni di meravigliosa poesia

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Quasi per un gioco del destino e del tempo, che spesso si divertono a scherzare con i sentimenti, le passioni e i ricordi. Mentre l'uno ieri a Kirkby si allacciava le scarpe e con un pallone sotto braccio iniziava a crescere i ragazzi di Liverpool, l'altro, oggi, dice basta. Forse per seguire la stessa strada. Chissà. Loro due, che sono stati l'immagine di una meravigliosa illusione, di una poesia di bellezza struggente che insegue la sua eternità. Steven Gerrard e Frank Lampard. Le due anime di un calcio (inglese) che sulla scia di un'onda romantica pian piano si perde sulla battigia, lì dove oggi altri cercano di creare gli stessi versi. Ci ha pensato qualche mese in più, Frank. Mentre Gerrard salutava Los Angeles e rispondeva al richiamo di Liverpool, lui rifletteva. Perché a 38 anni si può amare ancora il calcio con l'animo di un bimbo che insegue un sogno nel cortile sotto casa. Alla fine, però, ha deciso di chiudere la porta, con gli occhi chiusi e le mani lente, senza sapere cosa c'è ad attenderlo al di là della soglia.

Tic tac, tic tac. Sembra sempre che per supereroi come lui l'orologio e l'incedere del tempo siano solo una semplice formalità. Eppure, eccoci qua. Tic tac, tic tac. Passa, eccome se passa. Immaginatevi di poter sfiorare quelle lancette e portarle indietro di 21 anni, quando quel ragazzo di Romford, un sobborgo dell'East End londinese iniziava a incantare ad Upton Park. Dopo una piccola parentesi in prestito allo Swansea nel 1995, aveva fatto ritorno al West Ham. In famiglia gli Hammers erano praticamente una religione: il piccolo Frank era cresciuto fra il mito dello zio Harry Redknapp, e il padre, Frank sr, due signori che fra gli anni '60 e gli anni '80 avevano messo insieme con gli Hammers 149 e 551 partite in First Division, in quella meravigliosa squadra di leggende come Bobby Moore e Trevor Brooking.

Ad allenarlo c'era proprio lo zio Harry, con cui si tolse lo sfizio di vincere una Coppa Intertoto nel 1999. A pochi chilometri, però, nel quartiere di Chelsea, si iniziava a parlare del suo talento. Fu un certo Claudio Ranieri a volerlo. In quei piedi aveva visto la magia. Tutto iniziò nel 2001.

Tic tac, tic tac. L'inizio di una storia che nemmeno il tempo può scalfire. Tiro, intelligenza tattica, orgoglio, correttezza. E 13 anni di amore puro. Totale. Come spiegare altrimenti le 648 partite (quarto di sempre dietro Ron Harris, Peter Bonetti e John Terry), i 13 trofei vinti. Ranieri lo aiutò a crescere, a diventare leader, a esaltare le sue qualità. Poi, l'arrivo di Mourinho e i titoli: nel 2005, 58 presenze e 19 gol e la conquista della Coppa di Lega e della Premier League, che dalle parti di Stamford Bridge attendevano da 50 anni. "E' il centrocampista più forte del mondo": parole e musica di Johan Cruijff, non proprio un incompetente del mestiere. Un anno chiuso al secondo posto nella classifica del pallone d'Oro. Nel complesso, 3 titoli in campionato, 4 FA Cup, 2 Coppe di Lega, 2 Community Shield, la Champions League nel 2012 (prima squadra di Londra a riuscirci) e l'Europa League nella stagione seguente. Il capitano dell'unica squadra campione in carica, seppur solo per qualche giorno, di entrambi i trofei europei principali.

In quei 13 anni ha rincorso continuamente record, giocando per Ranieri, Mourinho, Grant, Scolari, Hiddink, Ancelotti (con cui arrivo il double Premier-FA Cup nel 2010), Villas-Boas, Di Matteo (il condottiero della Champions League) e Rafa Benitez. Ha vinto tutto, ha forgiato la sua immagine immortale ed è diventato il miglior marcatore della storia del Chelsea con 211 gol, superando il primato di 202 di Bobby Tambling, una vera leggenda. E' uno dei soli tre giocatori con Ryan Giggs e Wayne Rooney ad aver superato quota 100 in Premier sia alla voce gol sia a quella assist; ha segnato 41 gol da fuori area in Premier League, più di chiunque altro; ha regalato solo a Drogba 24 assist in campionato. Nemmeno a dirlo, nessuna coppia ha fatto meglio. Dieci stagioni consecutive in Premier con più di 10 gol, 177 reti totali in campionato (davanti solo Shearer, Rooney ed Andrew Cole); 164 presenze consecutive in Premier. Indovinate? Più di tutti. Meglio di tutti. Il tutto, rappresentando una delle più belle espressioni moderne del centrocampista box-to-box, come amano scrivere in Inghilterra. Numeri e record che l'hanno reso il re della sua gente, che ha sofferto quando lo ha visto indossare la maglia del Manchester City, e che era avvolta dalla nostalgia quando solo in tv poteva ammirare i suoi gol a New York, al di là dell'Atlantico.

Tic tac, tic tac. Nel mentre, l'altro, Steven Gerrard, si prendeva Liverpool e Anfield Road. Quante battaglie. L'uno, Steven, cuore di una città vivace e per lo più proletaria, l'altro l'anima elegante del quartiere glamour e borghese di Londra. Due mondi contrapposti, che non hanno però mai rotto un rispetto reciproco assoluto. Insieme sono stati l'immagine della generazione d'oro di un'Inghilterra sempre vicina a una vetta solo assaporata, una maglia che Frank ha indossato e amato per 106 volte (e 29 gol).

Dopo 1044 partite (tredicesimo di sempre, 2 in meno di David Seaman e 3 in più di Paolo Maldini), Frank Lampard ha deciso di chiudere quella porta e di guardare verso un nuovo orizzonte. Dopo aver conquistato il cuore di Stamford Bridge, dopo aver raggiunto la storia. Se percorrerà la stessa strada di Gerrard, solo il tempo lo dirà. A Cobham, c'è da scommetterci, un posto per lui ci sarà sempre. E chissà se vedremo presto anche lui in tuta, scarpe da ginnastica e pallone sotto braccio. Tic tac, tic tac. Ventuno anni possono passare in fretta, senza che tu te ne accorga, lasciando una scia leggera e intensa al contempo. Scherzi del destino, del tempo. E nemmeno supereroi come Frank possono ribellarsi.



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