Il biglietto da visita è da conservare accuratamente dentro il portafoglio: 23 gol stagionali al suo primo anno in bianconero, più di quell'affamato di Carlos Tevez, 21 l'anno scorso. La faccia da bravo ragazzo non mente, perché Paulo Dybala lo è per davvero, nella vita di tutti i giorni. Ma non con una palla tra i piedi. "Quando entro in campo mi trasformo. Fuori mi piace scherzare e dire cavolate con i miei amici. Dicono che io assomigli ad un bambino, per via della faccia. Ma quando sono dentro ragiono come un calciatore di 30 anni". Maturo, decisivo. L'attaccante argentino della Juventus si racconta in esclusiva e senza timori a "El Pais". Quanti aneddoti sulla sua vita. Alcuni legati al suo modo di fare calcio. "Chi mi ha insegnato a proteggere il pallone? Ho osservato molti compagni durante gli allenamenti, soprattutto Franco Vázquez a Palermo. Mi sono guardato per bene anche Riquelme e Messi". Gattuso - suo allenatore in rosanero per qualche mese - invece "mi ha consigliato tantissimo sul come posizionarmi, per schivare l'avversario, perché lui era uno di quelli che in campo le dava. In più di un allenamento mi randellava in modo sistematico per farmi capire come avessi dovuto difendermi". Un Dybala egoista c'è stato, soprattutto da giovane. "Da piccolo ero egoista in tutto. Ero il più piccolo, il più vivace e spesso volevo tutto per me. Tanto fuori quanto dentro il campo ho imparato di come alle volte sia molto più bello condividere le cose, perché percepisci un'emozione diversa. Sono migliorato". In passato c'è stato anche un Dybala... "pibe de la pensión". Ossia? Paulo racconta la situazione: "Nell'Instituto de Córdoba mi conoscevano con quel soprannome, è vero. In quegli anni ho imparato a vivere da solo, a non essere egoista. Pulivo le stanze, preparavo e sparecchiavo la tavola. Ogni volta che torno in Argentina mi ritrovo con qualche compagno che ho avuto lì". Si dice che in questa specie di convitto lui si chiudesse spesso in bagno a piangere perché gli mancava suo padre, scomparso quando Paulo aveva solo 15 anni. "Non è stato facile lasciare casa e superare la scomparsa di mio papà. Il calcio mi ha aiutato molto. Sono diventato calciatore quasi più per mio padre che per merito mio: lui aveva questo sogno in testa. Mi ha dato la forza di crederci. Non avrei mai immaginato di essere dove sono ora. Mio papà sarebbe orgoglioso di me, ora, sicuramente. Perché lo vedo negli occhi di mamma tutti i giorni". L'insegnamento di Dybala Senior. "Lottare per arrivare all'obiettivo. Mai abbattersi, anche quando le cose non vanno. Mi ha insegnato anche a... giocare a scacchi". Uno sguardo alla Nazionale argentina. E pensiero che torna alla prima convocazione: "Quando mi chiamò il Tata... mi sudavano le mani. Era una cosa che sognavo fin da piccolo".
Si torna sul personale. Paulo Dybala. Il cognome è polacco perché suo nonno emigrò in Argentina dopo la Seconda Guerra Mondiale. "Nonno è mancato quando avevo tre anni. Ma la sua immagine ce l'ho fissa in testa: una persona diversa da noi argentini, serioso, grande e molto pacato. Lo ricordo seduto sulla sua sedia. Una volta ho parlato con alcuni miei cugini polacchi: mi piacerebbe andare a visitare i posti in cui è cresciuto e vissuto il nonno. Mia bisnonna è italiana invece". Il primo idolo di gioventù. A chi si ispirava Dybala? "Volevo assomigliare a Riquelme. Anche Dinho mi piaceva tantissimo: mi guardavo video su video. Gli argentini non vanno molto d'accordo con i brasiliani, nel calcio. Però bisogna riconoscere i buoni: tanto Ronaldinho quanto Neymar". Capitolo Juventus. I compagni più simpatici? "Pogba, Asamoah, Pereira, Morata e Zaza". Chi si fa ascoltare di più? "Buffon, Evra, Marchisio, Bonucci e Chiellini". Chi segna: soprattutto lui, Paulo Dybala. Una joya di giocatore da stropicciarsi gli occhi. Perché se non tocchi quasi non ci credi.