Scrivere la storia di Fernando Torres vuol dire scrivere la storia dell’Atletico Madrid. Una storia d’amore intensa, sincera, che ormai è quasi finita. Almeno sul campo. El Niño se va, ora è pronto. A fine stagione svestirà la maglia rojiblanca che ha indossato per la prima volta 6161 giorni fa. Quel giorno il mondo conobbe “il bambino” che a 11 anni si era infilato per la prima volta la maglietta dell’Atléti. In tutta la capitale spagnola per lui non esistevano altre squadre, solo quella meno chic dei materassai, l’unica sognata anche quando in una classe di 20 bambini 19 tifavano Real Madrid.
“Firmare per i Blancos? Nunca! Mai in tutta la mia vita”. Una frase detta da piccolo e ripetuta sempre, a difesa di un sentimento profondo ed eterno. I più grandi lo chiamavano niño perché non conoscevano il suo nome, così Fernando è rimasto tale anche oggi che a 34 anni ha annunciato che la sua storia a Madrid è agli sgoccioli. 17 anni dopo quel 27 maggio 2001 è cambiato tutto; quello che è stato un suo compagno di squadra sarà l’ultimo allenatore della sua carriera rojiblanca, lo stadio Vicente Calderón non esiste più. Quello che rimane - e rimarrà sempre - è quella maglia biancorossa come una seconda pelle, indossata anche durante le parentesi vissute in Inghilterra (gloriosa quella con Liverpool, un po’ meno quella con il Chelsea dove Fernando è stato però protagonista della Champions vinta a Monaco).
Dopo 10 presenze, nel 2015, Fernando ha lasciato l’Italia e il Milan per tornare a casa sua. Ancora l’Atlético, otto anni dopo l’ultima volta. Un tuffo nel passato, nella passione della sua gente che per anni lo ha visto vincere tutto solo con la maglia della nazionale spagnola. 11 stagioni con il club della sua vita, il traguardo delle 400 partite giocate non troppo lontano da raggiungere e (finora) 113 gol segnati, 99 nella Liga. Numeri che non possono descrivere l’attaccamento, il rapporto quasi simbiotico di Torres con l’Atlético. A 34 anni Fernando ha ancora degli obiettivi da raggiungere: su tutti quello di vincere un titolo con il suo Atléti. “Tutto il resto l’ho già vissuto”.
Un ultimo regalo per quella gente a cui l’attaccante deve tutto, che lo ha aiutato a rialzarsi ancora una volta dopo la finale di Champions League persa a Milano nel 2016, contro il Real. “Il momento più doloroso di tutta la mia carriera. Vedevo i nostri tifosi che piangevano tra l’orgoglio e la tristezza. Non me lo dimenticherò mai“. Per scrivere nuove pagine c’è ancora tempo, quelle già scritte portano la sua firma incancellabile. La galleria dei momenti indimenticabili di Torres con quella maglia è lunga e preziosa, a testimonianza di un idillio che non finirà nemmeno in estate. Un tipo fedele, Fernando, con la sua squadra e con la sua Olalla, l’altro amore della sua vita conosciuta quando aveva otto anni.
Ora che ne ha 34 per tutti rimane El Niño. Un bambino che è pronto a dire un’altra volta addio dopo essere stato un simbolo, un uomo dell’Atléti in tutto il mondo, un tifoso orgoglioso del club del suo cuore. Uno che con quel viso da bambino ha realizzato i suoi sogni, è cresciuto e ha vinto solo lontano da casa sua. E' rimasto lo stesso, chi lo vive nel quotidiano ricorda che i suoi valori sono gli stessi di quando ha iniziato a giocare. Amato, rispettato, non sempre compreso fino in fondo. El Niño se va, ma non lascerà mai il suo Atléti.