Il problema degli stadi è una questione tutta italiana dunque. Nel nostro campionato ce ne sono solamente cinque di proprietà, oltre a quello della Juventus, la Dacia Arena di Udine, il Mapei Stadium di Reggio Emilia, il Benito Stirpe di Frosinone e l’Atleti Azzurri di Bergamo.
La necessità di costruire uno stadio di proprietà corrisponde alla contemporanea instabilità delle principali fonti di ricavo delle società negli ultimi anni. Variabilità dovuta principalmente ai risultati sportivi. Con il Fair Play Finanziario infatti, l’accesso alla Champions League diventa un fattore determinante per tenere alto i parametri di bilancio.
In Italia il calcio è la nona industria riguardo a volumi d’affari con circa il 6% del PIL, ovvero 9 miliardi di euro che danno lavoro a 500 mila persone e versa 30 milioni di euro di contributi fiscali allo Stato. Malgrado questo scenario, la situazione degli impianti non sembra invece corrispondere ai livelli necessari per esprimere al meglio lo spettacolo.
In Inghilterra…
Il modello che sempre viene preso come riferimento è quello inglese. Si parla di stadi aperti 7 giorni su 7, di musei, ristoranti, hotel e tutte le attrazioni in grado di portare guadagno al club. Ma perché non è possibile prenderlo come fonte di ispirazione per l’Italia?
Gli stadi inglesi sono stati costruiti nella maggior parte dei casi in contemporanea con quelli italiani, in alcuni casi anche in precedenza. Anche quelli che hanno visto recente costruzione (Emirates, il nuovo White Hart Lane), si trovano in posizione limitrofe o prendono il posto dei precedenti impianti. Questi stadi spesso sono stati costruiti in contemporanea con il quartiere che si trova intorno a loro. Per questo a Londra ogni quadrante della città ha la propria squadra di riferimento. Lo stadio è vissuto perché è parte del quartiere. È un simbolo di riferimento ed è impossibile da trapiantare in altre zone della città, fuori dal proprio contesto. Per questo anche i club che hanno deciso di costruirne uno nuovo si sono viste costrette a rimanere in quella zona di riferimento optando per soluzioni spesso ingegnose.
Il Chelsea e Stamford Bridge
Per grandezza e dimensione potrebbe essere paragonato all’Allianz Stadium di Torino, entrambi con una capienza intorno ai 41 mila posti. Eppure se si confronta quanto i due stadi alla fine dell’anno portano dal punto di vista economico alle squadre la differenza è enorme. Stamford Bridge riesce a portare al Chelsea oltre 80 milioni di sterline, l’Allianz poco più della metà.
Sono tanti i fattori che influiscono. Dalla politica del pricing (il prezzo del biglietto), all’esperienza che ogni tifoso vive allo stadio. Si dice che gli impianti inglesi vivano 7 giorni su 7. Una forzatura, ma certamente: il museo, lo store, gli alberghi e i pub tutti griffati Chelsea vivono di vita propria durante la settimana. Ancora più influenti sono le tradizioni che modificano gli incassi. Lo store ufficiale prima del fischio d’inizio (nella foto un’ora prima della partita tra Chelsea e Fulham dello scorso dicembre) è preso d’assalto con i tifosi che affollano le casse in attesa di acquistare il proprio gadget. Secondo le statistiche inoltre i tifosi inglesi spenderebbero più del doppio rispetto ai tifosi italiani per cibo e bevande nei novanta minuti della partita, comprando bibite 10 volte di più rispetto a noi italiani.
Come detto in precedenza, il Chelsea che in questi mesi sta studiando le modalità più ottimali per rimodernare Stamford Bridge si è imbattuta in una serie di difficoltà logistiche. L’impianto infatti cresce all’interno di uno spazio ristretto, chiuso tra abitazioni, binari della ferrovia e un cimitero. Trovare un altro spazio sarebbe complicato, non solo perché si dovrebbe ripartire da zero con il progetto, ma soprattutto perché Stamford Bridge è tale solo all’interno di Kensington il quartiere nel quale si trova. Al di fuori verrebbe meno il legame tra chi lo frequenta quotidianamente e ne ha sancito il successo anche dal punto di vista economico.
L’Arsenal e l’Emirates Stadium
Mentre il Chelsea sta studiando come rendere ancor più remunerativo il proprio impianto, l’Arsenal ha deciso di ripartire da zero. Con una decisione sentimentalmente dolorosa e cinica ha abbattuto il vecchio Highbury costruendo l’Emirates. I due impianti distano qualche centinaio di metri. Ma mentre il nuovo impianto si erge circondato come da tradizione dal museo, residenze e alberghi, il vecchio è ora diventato altro. Di Highbury rimane ancora la forma rettangolare, ma al posto delle tribune sono sorti condomini e un hotel. Di lui rimane una targa e la scritta sulla facciata principale. Niente più biglietti, per entrare bisogna suonare ad un citofono. Addio ricordi, ora si insegue il profitto. Mentre Highbury al pari dello Stamford Bridge era circoscritto all’interno del quartiere, l’Emirates si trova in una situazione sopraelevata. Più imponente e dalla struttura tecnologica. L’acciaio e il vetro lo rendono lanciato verso la modernità. Uno strappo alla regola del calcio inglese. I tifosi dei Gunners hanno accettato il passaggio in barba alla legge economica, ma anche perché non viola la legge che tutti gli stadi inglesi devono seguire. Vivere insieme ai tifosi. Anche durante la settimana, quando rimangono all’interno vuoti, ma continuano ad accogliere nelle altre loro strutture collegate nuovi tifosi di passaggio, sempre in cerca di un nuovo gadget.