“Grazie caro”. La risposta di Badelj agli in bocca al lupo dei giornalisti è sempre la stessa. La sua conferenza di presentazione è appena finita. Milan è uno di famiglia, quindi si può andare anche contro il protocollo e alzarsi per andare a salutarlo. Pradè lo ha voluto presentare a sorpresa, portandolo in sala stampa quando tutti sapevano della trattativa della Lazio, anche del fatto che fosse a buon punto. Ma non che fosse stata già definita.
“Sarà l’acquisto più importante di questa sessione”, dirà il ds. Non dal punto di vista tecnico, ma soprattutto da quello caratteriale. Facile capire il perché, basta ascoltare Milan quando parla della sua esperienza negativa alla Lazio: “E’ andata male? E’ solo colpa mia, non di altri”. Zero alibi, magari la testa era rimasta a Firenze, impossibile dimenticarsi ciò che ha vissuto. In pochi come lui sanno guardarsi dentro.
In pochi, probabilmente, avrebbero avuto la forza di prendere la parola in Piazza Santa Croce in occasione del funerale di Astori. Davide è appena volato via, la città e la squadra sono sotto schock: “Tu sei luce per tutti noi”, dice Milan. La lettera è da brividi, così come l’abbraccio dell’arbitro Pasqua dopo la vittoria sul Benevento, la prima partita dalla tragedia.
La Fiorentina si è allenata poco e male ovviamente. Negli ultimi minuti è esausta e deve resistere all’assedio avversario. Al triplice fischio si buttano tutti per terra, mentre Badelj non trattiene le lacrime. Gli capita la stessa cosa a Genova, con la maglia della Lazio. Partitaccia, Inzaghi ne ha dieci fuori. Lui segna la rete dell’1-0 dopo le tante difficoltà e alza le braccia al cielo. Un “1” e un “3”, come il numero di maglia di Davide.
La sua fascia, nel frattempo, l’ha lasciata a Pezzella, perché sente la necessità di provare nuove sfide: “Vorrei provare ad andare oltre quella che rappresenta la mia stabilità”, scrive nella lunga lettera d’addio. La mano trema, è a Firenze da quattro anni ma la porta nel cuore tanto quanto Zagabria, la sua terra: “Non sono pronto per dedicarmi alla Fiorentina per sempre”. Si è guardato dentro, ancora una volta.
Saluta i magazzinieri, che lo hanno trattato come fosse stato un loro figlio. Ripensa al passato, a quando arrivò dall’Amburgo nel 2014. Mesi difficili, un girone d’andata in cui le differenze con la Bundesliga lo mandano ko. Ha paura di sbagliare, in campo pensa troppe cose insieme. In panchina c’era Montella, che gli dà fiducia e che ora lo riabbraccia. Badelj trova il primo gol in viola nel maggio del 2015, contro il Chievo. L’assist glielo fa Bernardeschi, davanti a lui gioca Salah. Sono cambiate tante cose: “Ma Firenze è sempre rimasta parte di me”.
Zero social, i momenti liberi con suo figlio preferisce non esporli. L’ha chiamato Jon Davide, facile capire il perché. Badelj torna a Firenze da vice-campione del mondo, perché in Russia c’era pure lui. Un gol all’Islanda, la finale con la Francia guardata dalla panchina. In mezzo gioca Modric, che dieci anni prima ha dovuto sostituire alla Dinamo Zagabria. Questione di eredità.
Uomo forte, le guerre nei Balcani lo hanno forgiato. Carattere schivo, come i modelli che ha sempre studiato. Da Zidane a Xabi Alonso e Pirlo, una enciclopedia. Un cuore grande anche, che lo ha portato di nuovo alla Fiorentina: “Siamo una piccola opera d’arte in mezzo a monumenti che tutto il mondo ama”. Parole da sindaco. Milan è di nuovo in mezzo alla sua gente.