“Il calcio come passione, lo studio per un futuro lavorativo. L’America il sogno di una vita.” Paura di fallire? “No!” Risposta secca, che non lascia scampo a forze contrastanti. Comincia con una volontà enorme l’"american dream" di Beatrice Abati, Raffaella Giuliano e Elena Pisani. “Siamo partite tutte e tre con una valigia piena di sogni”, raccontano, ai microfoni di gianlucadimarzio.com, le tre amiche. “Non ci conoscevamo bene, prima. Ora siamo legatissime! Viviamo porta a porta, negli appartamenti del college. E’ proprio come nei film! Strutture fantastiche, spogliatoi che in Italia non sono nemmeno pensabili, parlando di femminile: tv, impianto stereo, divani, armadietto personalizzato con nome e numero. Eravamo abituate a vivere lo spogliatoio come luogo dove cambiarsi e farsi la doccia, qui invece possiamo anche studiare, riposarci…”
Professione? “Studentesse-calciatrici alla East Tennessee State University (ETSU)”. Ruolo e idoli? Elena Pisani è un difensore centrale “alla Materazzi, per intenderci: mi è sempre piaciuto per la tenacia, la cattiveria e il colpo di testa, quelli che oggi sono i miei punti di forza”. Beatrice Abati gioca a centrocampo e corre “come un motorino. Da piccola i miei modelli erano Nedved e Beckham, ora Marchisio. Nel femminile stimo Yaya Galli". Raffaella Giuliano, invece, è un terzino. Anche se ha sempre guardato “con ammirazione Kakà e Hamsik, due trequartisti”.
Il calcio in Italia
Lazio, Lombardia, Campania. Tre regioni, tre scuole di pensiero, tre aspiranti calciatrici ai primi calci. Tre storie diverse, accomunate da una cosa: la presenza di un fratello, come amico con cui cominciare a giocare. A raccontare i suoi inizi per prima è Elena: “Ho messo gli scarpini per la prima volta in una squadra di calcio a 5 a Roma, spinta da mio fratello (Davide, oggi terzo freestyler italiano e tra i primi 32 al mondo, ndr). Qualche anno dopo ci siamo trasferiti a Milano: ho giocato con i maschi fino a 12 anni, poi sono passata all’Acf Milan. In rossonero ho esordito in Serie A a 14 anni: un’emozione enorme! Quando il Milan era sull’orlo del fallimento, sono andata alla Bocconi, in Serie B. Lì ho sfidato Bea per anni: ci hanno sempre battuto, me lo rinfaccia sempre (ride, ndr)”.
Prende poi la parola Beatrice, che ha “cominciato all’oratorio, a Castellanza. Quando è arrivata la chiamata dell’Inter non ho potuto rifiutare; sono rimasta tra le nerazzurre per anni, fino al trasferimento in America…”. Chiude il cerchio Raffaella, campana doc: “Dopo anni con i maschi del Caianello mi ha notata il Napoli. All’esordio avevo 15 anni: ero talmente felice e carica che… ho segnato! Non ci credevo! Ho provato poi l’esperienza in America, con l’OSA FC a Seattle, giocando il campionato estivo. Tornata in Italia, ho scelto la RES Roma, in Serie A. E poi… valige pronte: si torna negli States!”
American Dream
Sognare non costa nulla. Lo sapevano bene le protagoniste della favola di oggi, che hanno visto – come nelle migliori storie - la loro ambizione diventare realtà. “Da piccole guardavamo l’America come la terra perfetta del calcio femminile. Quando l’allenatore della ETSU ci ha contattato su Facebook per offrirci una borsa di studio non ci credevamo”. Ora, l’America è diventata la normalità. Una normalità di lusso, perché “quando siamo negli States non siamo mai stressate: siamo sempre impegnate, ma siamo felici di esserlo. Studiamo e giochiamo, a volte lavoriamo anche. Negli scorsi anni ci allenavamo nel pomeriggio, ora alle sei del mattino: all’inizio è stata una botta, ma con il tempo ti rende più produttivo". La vita da studente-sportivo, in USA, significa “diventare amico di tutti gli altri sportivi. Ma non solo: una volta entrato nell’ambiente, ti senti parte di una comunità e ne sei orgoglioso. C’è un forte senso di appartenenza nei confronti del proprio college".
Quei 90 dollari di multa
Essere una calciatrice in un college americano è un’esperienza bellissima, ma ha anche dei lati negativi, nascosti. Uno di questi? “I moduli d’iscrizione!” Risponde Elena. Poi Raffaella aggiunge: “Quei dannati moduli… non finivano più! Stavo anche pensando di rinunciare agli USA per causa loro. Tra esami, corsi d’inglese, certificati e quant’altro, ho impiegato delle settimane per completare le pratiche".
Ma tanti altri sono gli aneddoti, “Raffaella, arrivata per la prima volta in America, ha salutato lo staff con dei baci sulle guance. Guai! Gli statunitensi sono molto distaccati: al massimo possono arrivare alla stretta di mano". Oppure di quando a New Orleans, in vacanza, “abbiamo posteggiato in un parcheggio a pagamento, pensando fosse gratuito, e siamo andate al bar. Dopo cinque minuti, tornate alla macchina, abbiamo trovato un blocco alla ruota e una multa da 90 dollari!”.
Infine, ci pensa Beatrice ad incalzare le amiche con l’ultima storia divertente: “In quanto studentesse straniere, oltre al visto, abbiamo un documento che ci serve per rientrare in America dall’estero. Lo portiamo sempre con noi, quando torniamo in Italia. Però, andando alle Bahamas lo abbiamo lasciato in appartamento. All’atterraggio siamo state bloccate: non avremmo potuto fare ritorno in America, senza quel documento. Fortunatamente, siamo riuscite a farcelo spedire via posta il giorno prima della partenza, pagando, ancora una volta, 90 dollari di multa!”
Viaggio della speranza
Le ragazze dell’Italian Mafia – questo è il loro soprannome in college e sui social - raccontano la loro storia dall’Italia, rientrate qualche settimana fa, a causa dell’emergenza Coronavirus, con “uno dei viaggi più stressanti della nostra vita”. Un viaggio della speranza a tutti gli effetti, con mascherine e guanti, “prenotato la sera prima”. Più di dodici ore per attraversare l’Atlantico; qualche altra ora per raggiungere, da Roma, la propria città: Milano (per Beatrice e Elena) e Caserta (per Raffaella). “Quella settimana, ci siamo allenate al giovedì, come se nulla fosse – racconta Elena. Venerdì abbiamo fatto lezione. Sabato hanno chiuso l’università e ci hanno consigliato di tornare a casa: abbiamo preso i biglietti per il primo volo di domenica. Dopo due scali, Atlanta e Miami, siamo arrivate a Roma, esauste. Lì ci siamo divise: Raffa è tornata a casa con suo padre, in macchina; io e Bea, invece, ci siamo sorbite altre quattro ore di treno fino a Milano". Un’esperienza “stancante, mentalmente e fisicamente, vissuta con ansia e fretta”, che si chiude però con una speranza. La speranza – e la voglia - di “tornare a giocare al più presto”. Perché, in fondo, “senza calcio non si può stare”.
A cura di Luca Bendoni