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Ianis Hagi: “Fiorentina nel cuore, voglio ispirare una generazione”

La nostra intervista al trequartista dei Rangers: “A Firenze grande squadra, Zarate mi sfidava sulle punizioni. Papà Gheorghe idolo di una nazione”

C’era una volta un ragazzino di sedici anni, con un talento cristallino e un cognome pesante sulle spalle. A Firenze si aspettavano un enfant prodige, ma la scintilla non si è accesa. Oggi Ianis Hagi si è fatto uomo: ha 26 anni e una consapevolezza diversa. Dopo mesi ai Rangers senza giocare per motivi societari – e un prestito all’Alaves per ritrovarsi – è tornato protagonista: due assist nell’ultima partita e il premio di MVP in quella prima. “Sono contento: ogni tessera del puzzle si sta unendo. Il meglio della mia carriera arriverà presto”, racconta sicuro a GianlucaDiMarzio.com.

 

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Hagi-story: “Sogno di riportare il nostro nome a un Mondiale”

Le prime tesserine di quel puzzle Ianis le ha messe insieme da bambino, sul campetto di casa con papà Gheorghe: “E’ stato l’idolo di tutti i ragazzi della mia età in Romania: è partito da un piccolo villaggio vicino a Costanza ed è arrivato a giocare al Real Madrid e al Barcellona. Crescere con lui è stato un vantaggio: le pressioni mi sono servite come motivazione. Oggi in Nazionale sono uno dei capitani, voglio ispirare le nuove generazioni come lui ha fatto con la mia. Sogno di riportare il nostro nome a un Mondiale: sarebbe una grande storia, un modo per restituire a papà la gioia che lui mi ha dato”.

“Alla Fiorentina sono cresciuto. I tifosi mi scrivono di tornare”

Il padre e la Nazionale, due tessere importanti. E poi c’è Firenze, ancora nel cuore di Hagi. “I diciotto mesi alla Fiorentina sono stati cruciali per la mia crescita: ho giocato solo due partite in prima squadra, ma è stata l’esperienza di vita e di calcio in cui ho imparato di più. Mi ha aiutato a capire chi sono. Con i tifosi è nato un bel rapporto: mi scrivono ancora con affetto e mi chiedono di tornare. Ci penserei? Ora sto bene a Glasgow, amo i Rangers e ho vinto tanti trofei qui. Poi nel calcio non si sa mai: di certo Firenze avrà sempre un posto speciale nel mio cuore”.

 

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Ianis ci racconta le sue cartoline viola con il sorriso: “Quella squadra era piena di talento: quindici giocatori andavano in nazionale. Nel mio ruolo, tra trequarti e ala, avevamo Ilicic, Zarate, Bernardeschi e Borja Valero”. Maestri di qualità per un giovane numero dieci: “Ilicic era fenomenale, uno dei migliori con cui abbia mai giocato: talento puro, visione, controllo. Vederlo ogni giorno era un privilegio. Con Zarate ci fermavamo dopo gli allenamenti a calciare punizioni: ci sfidavamo uno contro l’altro, due o tre volte a settimana. Lui aveva trent’anni, io diciassette. Ovviamente ho imparato a calciare grazie a mio padre, ma con Zarate ho affinato la tecnica: in media su dieci punizioni ne segnava nove. E voleva sempre sfidarmi. Una volta gli ho detto: “Mauro è il quarto giorno di fila che calciamo”. Mi ha risposto: “Non importa, tu vieni e migliora”. Ecco perché sono cresciuto a Firenze: erano giocatori esperti, ma soprattutto grandi persone”.

La punizione di papà e le lezioni: “Il bello deve ancora venire”

Tanti insegnamenti, ma solo quarantotto minuti di gioco in diciotto mesi. Così Hagi ha deciso di tornare a casa, al Viitorul Costanza, squadra che lo aveva lanciato prima della Fiorentina e dove l’allenatore era proprio… papà Gheorghe: “All’inizio la situazione può sembrare un po’ strana nei rapporti con i compagni, ma alla fine parla il campo. Io l’ho sempre trattato come un normale allenatore e lui trattava me come un normale calciatore. Non si faceva problemi a punirmi se sbagliavo: prima che andassi a Firenze, a sedici anni, in allenamento mi sono arrabbiato per una sua critica e ho alzato un po’ la voce. Lui ha fermato l’esercizio e mi ha mandato a fare scatti da solo sul campo accanto per venti minuti, senza pause. Ho finito quell’allenamento esausto… e due giorni dopo ero in campo per una partita di campionato. Ma la punizione è servita: quel weekend ho segnato una doppietta e abbiamo vinto 6-1”.

 

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Dieci anni di montagne russe hanno lasciato una lezione importante a Ianis: “Ho capito che il calcio è fatto di opinioni e che se tu rispetti il calcio, lui ti darà indietro: anche in questi mesi in cui con i Rangers non ho giocato, ho continuato ad allenarmi al meglio aspettando una chance. Ora è arrivata e mi ha confermato quanto questo club sia speciale. Il bello deve ancora venire… e arriverà presto”. Dopo alti e bassi, il puzzle è completo. Da figlio d’arte, Ianis oggi è riferimento di una nazione: il principino è pronto a diventare re.