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Essere Samir Handanovic: l’autenticità del silenzio e dell’equilibrio

Leader silenzioso, appassionato di scacchi e antidivo: la storia di Handanovic, pronto a ripartire dall’Inter dopo il ritiro

Perché ogni giorno bisogna sacrificarsi per provare certe emozioni (…) Essere se stessi per me conta più di tutto nel nostro mondo (calcistico intendo) degli ipocriti, ho cercato di essere uomo prima di calciatore”. Ci sono diversi modi per descrivere una persona. Samir Handanović, con il suo messaggio d’addio all’Inter, ha trovato il modo migliore per descrivere sé stesso. Elegante e privo di ogni forma di autocelebrazione, con quella semplice profondità che da sempre lo contraddistingue. Perché in quelle parole c’è tanto, forse tutto, dell’essenza di quel portiere sloveno che per 11 anni ha difeso la porta e, soprattutto, i colori nerazzurri. 

 

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C’è la cultura del lavoro, valore su cui costruire una carriera. Ci sono la coerenza e il rispetto, principi della persona prima che del giocatore. E ci sono le emozioni, fine ultimo e motore incessante di chi vive il calcio. Colori essenziali anche per chi come Samir, quelle emozioni, sembra non esprimerle. Ma, in fondo, perché le vive nel modo più autentico e discreto. Una passione per gli scacchi e per Bukowski, ma ci torneremo, l’amore per il nerazzurro e la fascia da capitano. Ora la scelta di ritirarsi. Handanović è pronto per tornare a Milano. Senza guanti, questa volta, e pronto per essere ancora, anche se in veste diversa, il leader silenzioso. Perché “essere se stessi conta più di tutto”. Un’eredità, più che un semplice saluto. 

 

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L’Italia, l’Inter, una fascia 

Indissolubile. Indissolubile è il rapporto che lega Handanović con l’Italia. La sua Slovenia e il quartiere di Nove Fužine, fra le case popolari e il verde delle colline di Lubiana, i luoghi in cui è nato e cresciuto, l’Italia il paese in cui si è affermato e diventato uomo. Nel 2004 arriva a Udine. I prestiti al Treviso, alla Lazio e al Rimini prima di diventare protagonista in bianconero. Dopo 8 stagioni arriva la chiamata da Milano, dove resta per 11 anni. Poche le maglie vestite, simbolo del suo vivere il calcio e il rapporto con le proprie squadre. Un interesse, quello del club e del gruppo, anteposto sempre a quello individuale. A Rimini in B vive la sua prima grande stagione. A Udine si (di)mostra come uno dei talenti più importanti del panorama italiano ed europeo. Quella con l’Inter diventa, anno dopo anno, una storia d’amore. Un legame vissuto in tutte quelle sfumature proprie, appunto, di un amore. La sofferenza, le difficoltà, i riscatti e le indescrivibili emozioni. Samir è stato ed è testimonianza della storia recente nerazzurra: i momenti più critici, segnati dai cambi di proprietà e anonimi campionati; il ritorno in Europa con Spalletti e i primi trofei conquistati. Ma Samir è stato più di un semplice testimone.

 

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Lo sloveno è stato fedeltà verso un solo stemma e i tifosi, simbolo capace di resistere, immagine di rivalsa e leader silenzioso. Naturale è stata la scelta di dargli la fascia, una volta tolta a Icardi. Un cambio di immagine e stile, un capitano diverso. Carismatico, a modo suo. Esempio, in ogni suo aspetto. E da capitano, come perfetta chiusura di un cerchio, è stato uno dei portieri più forti dell’ultimo decennio, ha vinto lo scudetto del 2021 con Conte e le coppe con Inzaghi. L’arte dell’attesa. “Quanto orgoglio avere indossato questa maglia e questa fascia. Ho vissuto questo privilegio dando sempre il massimo”.
Lui l’Inter l’ha vissuta così. Con intimità e rispetto. Da capitano.  

 

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 L’arte degli scacchi (e dei rigori)

Per raccontare un giocatore, a volte, serve andare oltre. Oltre il campo. E per comprendere Samir Handanović, forse, dobbiamo tornare a quella passione di cui abbiamo parlato prima: gli scacchi. “La mia passione per gli scacchi nasce dalla mia famiglia, dove c’è competizione in tutto. In questa disciplina capisci che devi pensare cosa fare almeno quattro o cinque mosse in anticipo. Non mi stanco mai degli scacchi: più continuo a giocare e più continuo a scoprire qualcosa di nuovo”, raccontò ai canali nerazzurri. Un’arte, quella degli scacchi, che ha interiorizzato e applicato al suo modo di pensare il calcio. L’equilibrio mentale e la calma attesa, la logica e lo studio, la lucidità e l’attenzione. Variabili che trovano la loro più nitida immagine nel suo essere pararigori (32 quelli neutralizzati, primo nella storia della Serie A). È stato questo lo sloveno. Un portiere poco appariscente. Al vano e fugace mostrare ha sempre preferito la razionale concretezza. La concentrazione per anticipare le mosse, lo studio come motore di una incessante crescita. Una crescita utile, coerente ed efficace, mai fine a sé stessa e libera dalla necessità di affermarsi nei confronti dell’esterno. La consapevolezza di sé e del proprio percorso come guida verso quel successo che prima o poi arriverà. E lo scudetto lo insegna. E poi Bukowski: “a volte io mi sento il Bukowski dei portieri: non bevo, non fumo ma come lui sono un tipo diretto, che va dritto se deve dire una cosa a qualcuno”. Autentico e puro, privo di vuote sovrastrutture. 
Ora l’ex capitano nerazzurro torna all’Inter. E lo farà, una volta ancora, a suo modo. Silenzio, rispetto, equilibrio. Essere Samir Handanovic.

A cura di Nicolò Franceschin

A cura di Nicolò Franceschin.