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“Grazie, calcio”. La storia di Andrea Melani, che deve dire addio al calcio a soli 19 anni per un problema cardiaco

“Sì. L’ho avuto un sogno, Charlie. Ma ora sono sveglia. E lo odio quel mio sogno”. (Carlito’s way)

Sogno. È forse la parola più abusata quando si vaga con la fantasia, proiettandosi in un futuro più o meno immediato. “Sono obiettivi”, verrà a ricordarvi il razionale di turno, quello con i piedi sempre ben piantati a terra. L’essenza non cambia però quando la vita decide di prenderselo, qualunque cosa sia, sogno oppure obiettivo, magari dopo avervelo fatto assaporare beffardamente, e portarselo via.

Di sogni e di calcio ne è piena la storia, quella con la s minuscola, quella incatenata alla vita di tutti i giorni. Senza imperatori, dittatori o rivoluzioni da raccontare: solo traiettorie quotidiane di desideri e aspirazioni. Uno dei più comuni: voglio diventare un calciatore. Da bambino, dopo aver dato i primi calci al pallone. È la traiettoria di Andrea Melani, 20 anni ancora da compiere, che il suo sogno lo stava costruendo, plasmando. Ma che per un grave problema cardiaco ha dovuto rinunciarvi per sempre. Un difensore centrale giovane, di prospettiva, di proprietà della Juventus. Ma soprattutto un ragazzo dal quale si può imparare che un colpo così forte si può incassare comunque a testa alta. È quello che ha scritto nel suo messaggio su Instagram, è quello che dice anche ai nostri microfoni: “Grazie, calcio”.

Avrebbe potuto odiarlo, avrebbe potuto maledirlo o mandarlo a quel paese. Invece no: “Sulla bilancia metto questa delusione e la felicità che il calcio mi ha donato in tutti questi anni: pesa decisamente di più la seconda, per questo lo ringrazio”. Giù il cappello, Andrea. Beffardo il destino, ti fa allenare con Pirlo, sembra spianarti la strada, poi la chiude definitivamente: “Nella Juve ho giocato con i giovanissimi nazionali, allievi regionali e nazionali. Poi la Primavera, è capitato anche di allenarmi con la prima squadra. Ragazzi come noi, che non se la tirano per niente – mi dice con il suo inconfondibile accento toscano – e Pirlo… La metteva dove voleva”. La società bianconera lo aveva girato poi in prestito al Carpi, ma il ricordo più bello di Andrea è un altro: “Da piccolo, quando mi prese il Prato. Non ci credevo, quello per me fu già un grande traguardo”. Andrea rivive i momenti vissuti lontano da casa, sin da piccolino, i tornei all’estero, le esperienze di vita condivise con i compagni. Era tutto bellissimo. Sino a quel 17 luglio 2017. Giornata di visite mediche prima di firmare con la Massese: sarebbe stato il primo passo nel calcio dei grandi. E invece… “L’elettrocardiogramma svela questo problema. All’inizio non pensavo fosse così grave, poi la diagnosi si rivelerà un macigno: blocco di branca sinistra. Incompatibile con l’attività agonistica. La Juventus mi è stata vicina in tutti questi mesi, con loro ho fatto altre visite specialistiche. Il verdetto definitivo è arrivato qualche settimana fa, alla fine di dicembre”. Andrea ne parla e resta quasi imperturbabile. Anche quando gli dico che adesso bisogna fare i conti con un futuro diverso da quello che si immaginava da vent’anni a questa parte: “È ancora presto, voglio un po’ aspettare. Ma vorrei restare nel calcio: la Juve mi ha fatto sapere che mi starà vicina nel costruirmi un nuovo percorso. Allenatore, osservatore… chissà. Ho perso qualcosa, ma almeno questo problema non mette a repentaglio la mia vita”. Andrea è più sveglio che mai e no, non lo odia il suo sogno. Lo rimodellerà, prenderà la negatività di un sogno spezzato e – per citare quel personaggio interpretato da Bradley Cooper – la userà come carburante per trovare il lato positivo. E noi prendiamo appunti: non solo per raccontare questa storia. Ma per imparare.