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La sua storia comincia a 12 mila chilometri da Lisbona, la città che l’ha reso immortale. Eusebio è uno dei tanti figli di Maputo, la capitale del Mozambico che all’epoca era sotto il dominio coloniale del Portogallo. E come loro ne condivide la povertà dilagante, estrema, a cui si aggiunge il lutto tremendo di perdere il padre quando è ancora un bambino. Così cambia l’ordine delle priorità: correre appresso ad un pallone fatto di carta e calzini diventa più importante della scuola. Sarà l’inizio del suo mito, perché l’eco delle sue prodezze comincia a risuonare anche al di fuori dei confini nazionali. Ugo Amoretti allenava lo Sporting Lourenço Marques, quando si trova avanti questo talento innato. Subito ne parla a diversi club italiani, come la Juventus, il Torino, il Genoa, la Sampdoria. I bianconeri si muovono con convinzione per portarlo in Italia, ma la madre di Eusebio non vuole sentire ragioni. La sua carriera sembrava così già indirizzata: sarebbe andato a giocare nello Sporting, dal momento che la squadra per cui giocava a Maputo era affiliata al club portoghese. Ma i biancoverdi non si fidano appieno di questo talento emergente, gli propongono soltanto un posto nelle giovanili senza retribuzione. Allora José Carlos Bauer, uno dei reduci del Maracanazo che è appena diventato allenatore, dopo una tournée in Mozambico lo segnala alla sua ex squadra, il San Paolo. Ma niente, nemmeno in quel caso. Quindi lo raccomanda a Béla Guttman, che lo aveva allenato negli anni precedenti. Lui finalmente si fida e chiede alla società di corrispondergli un ingaggio: è così che lo prende il Benfica.

"Nacque destinato a lustrascarpe, vendere noccioline o borseggiare la gente distratta. Da bambino lo chiamavano ninguem, nessuno. Fece il suo ingresso sui campi correndo solo come chi corre fuggendo dalla polizia o dalla miseria che ti morde i talloni”.

Eduardo Galeano

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La capitale è in subbuglio, quando deve fare il suo sbarco in Portogallo. Il Benfica ha il concreto timore che possano sequestrarlo per consegnarlo allo Sporting, così non lo nominano più ma gli affidano il nome in codice di Ruth Molosso. Appena arriva a Lisbona, viene subito trasferito 300 chilometri più a sud, a Lagos, all'estremità meridionale del paese. Dopo un paio di settimane ha il via libera per rientrare, ma cominciano i primi dubbi: non è questa la vita che Eusebio sognava per sé, non sono questi i valori in cui si rivede l'uomo e il calciatore. Ma la madre lo convince a restare: è troppo importante per il suo futuro l'opportunità di giocare in una squadra di tale blasone. Così, cinque mesi dopo il suo arrivo in Portogallo, può finalmente giocare la prima partita con la maglia del Benfica. I gol sono la costante che lo accompagnerà per tutta la sua carriera: alla fine, chiuderà con la media di 0,98 reti a partita. Il che vuol dire che si parte sempre 1-0 per Eusebio.

“Eusebio è immortale, è una delle grandi figure del Portogallo, sappiamo bene cosa significhi per il Portogallo e per il calcio portoghese. Eusebio come Amalia Rodrigues, artista scomparsa nel 1999 e considerata la voce del Portogallo. Non dico che sia stato fonte di ispirazione, ma è sempre stato un punto di riferimento per valori, principi e sentimenti anche dopo aver chiuso la carriera. Lascia un vuoto enorme, ma preferisco pensare alla prospettiva dell'immortalità. Eusebio apparteneva ad un'altra generazione. Se si provasse a fare un paragone con il calcio attuale, lui sarebbe al livello dei migliori in assoluto. Se oggi avesse 20 o 30 anni, sarebbe qualcosa di meraviglioso”.

José Mourinho

11 titoli nazionali, 5 coppe di Portogallo, una Coppa dei Campioni: i 15 anni al Benfica sono caratterizzati dai successi. Eusebio diventa la Pantera Nera tra le Aquile: è inarrestabile, segna in qualsiasi modo, calcia con entrambi i piedi e corre con una velocità impressionante. Ma soprattutto in campo ha un garbo e una gentilezza che sorprendono chiunque: Altafini, che lo sconfisse in finale di Coppa dei Campioni con la maglia del Milan, dirà che non era in grado di commettere cattiverie. Nella finale del 1968, invece, il portiere del Manchester United gli nega il gol del vantaggio allo scadere dei tempi regolamentari ed Eusebio non sa fare altro che applaudire la parata dell’avversario e fargli i complimenti, mentre questi sta per rimettere il pallone in gioco. I tre giorni di lutto dichiarati dal governo alla sua morte evidenziano immediatamente che non era stato soltanto il miglior giocatore del suo paese, ma un eroe nazionale. Una figura destinata a rimanere scolpita in eterno nella storia del Portogallo.

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