Dai campetti di periferia alla Nazionale, Foggia: “Porterò sempre nel cuore il regalo di Pippo Inzaghi”
Pallone sotto il braccio, ginocchia sbucciate e sorriso sulle labbra. Chi sa quante volte, da piccolo, Pasquale Foggia si sarà presentato così ai suoi, dopo una giornata passata nel campetto di fronte casa, a imitare le giocate dei grandi 10 dell’epoca. Lo “scugnizzo” aveva di certo l’imbarazzo della scelta: “Maradona? Penso che Diego sia l’idolo dell’intero mondo del calcio – racconta ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – non solo mio che sono napoletano e tifoso del Napoli. Però subito dopo Diego veniva Roberto Baggio, per la sua semplicità, la classe, il tocco raffinato. Mi sono sempre ispirato a questi grandi numeri 10. Abitavo a 3 metri dal campo sportivo e il primo pensiero, appena sveglio, era quello di prendere la palla e andare a giocare. La mia fortuna è stata che ad assecondare questa passione c’era anche talento. Rispetto ai miei coetanei me la cavavo bene, tant’è che a 11 anni fui notato dagli osservatori del Padova, squadra che allora militava in serie A”.
Da piccolo aveva un sogno, fare soldi per comprare due case e vivere accanto alla sua famiglia. Forse neanche papà Ciccio, con un passato da calciatore, poteva sperare in una carriera così importante per Pasquale. Ma spesso i sogni diventano realtà…”Quando andai nella sede del Milan con Galliani, per firmare il contratto, vidi appesa la maglia di Roberto Baggio autografata. All’epoca giocava con i rossoneri: provai brividi ed emozioni uniche. Trovarmi nel giro di pochi anni dai campetti di periferia al Milan era un sogno che vivevo ad occhi aperti. Una squadra di fuoriclasse, un centro sportivo fantastico, un ambiente unico e lascio immaginare cosa potesse significare per me che fino a quel momento potevo solo vederli in tv. Ero arrivato in uno dei club più forti del mondo”. Da qualche stagione in declino: “Parto da una premessa. Nel periodo in cui sono stato a Milano, i rossoneri avevano uno squadrone che si basava su un gruppo di giocatori che si conoscevano a memoria. Parlo di Maldini, Costacurta, Gattuso, tutti campioni che oltre a fare la differenza in campo davano una grande mano anche fuori. Nelle ultime stagioni il Milan fa e disfa, cambia giocatori e allenatori ad ogni campionato e questo complica terribilmente la situazione. Quello che manca al Milan è proprio questo, un nucleo solido di giocatori importanti, che facciano capire cosa significa indossare quella maglia. Concordo con quello che ha detto recentemente Gattuso, manca il rispetto delle regole che in un grande club come il Milan erano religione”.
Treviso, Empoli, Crotone ed Ascoli le prime esperienze a livello professionistico. Poi il Milan, nel 2006, decide di cederlo alla Lazio. A gennaio 2007 il passaggio alla Reggina, tappa fondamentale nella carriera di Foggia: “Reggio per me ha rappresentato tantissimo. Avevamo una penalizzazione di 15 punti e poco importa che poi fu ridotta a 11. Era impensabile sperare di salvarsi in serie A con una penalità così grande, poi per una piccola realtà come la Reggina a maggior ragione. La voglia di trovare l’impresa e premiare la passione della gente di Reggio ci caricò a mille. Stadio sempre pieno, gruppo di uomini veri e un grande allenatore come Mazzarri, questa fu la ricetta vincente. La domenica davamo l’anima l’un per l’altro e alla fine, anche grazie a un po’ di fortuna, siamo riusciti a realizzare questa impresa. Un sogno per i tifosi della Reggina, che credo porteranno il ricordo di quella stagione a lungo nei loro cuori e nelle loro menti. Spero che tornino nel calcio vero, perché specialmente il sud perde una piazza importantissima, che per anni ha scritto una vera e propria favola, la ‘cenerentola’ che metteva sotto le grandi. Dopo diverse stagioni di livello erano ormai una realtà e il mio augurio è di rivederli presto nella categoria che gli compete, che non è di certo la serie D”.
Durante la parentesi di Cagliari, dove vive un’altra impresa sportiva, il 13 ottobre del 2007 arriva anche l’esordio in Nazionale: “Credo che la Nazionale rappresenti il livello massimo per ogni calciatore, il coronamento del sogno iniziato fin dai primi calci per chi si affaccia a questo sport. Io ho ebbi la fortuna di esordire nella Nazionale immediatamente successiva a quella che ha vinto il Mondiale del 2006, quindi in una squadra imbottita di campioni. Il ricordo che porterò sempre nel mio cuore è un regalo che mi fece Pippo Inzaghi, che mi donò la maglia con cui vinse il mondiale, con una dedica speciale. Per me è motivo di grande orgoglio aver giocato con campioni di questo livello”. Nel 2008 i biancocelesti decidono di riportarlo a casa. Stagioni importanti, con due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana sollevate al cielo: “La Lazio, a livello di risultati sportivi, rappresenta forse l’apice della mia carriera. Ho avuto la fortuna di giocare per diversi anni in una grande squadra e di vincere anche delle coppe. Ho un bellissimo ricordo di Roma e tuttora vado spesso a Formello a trovare i biancocelesti. L’ultima visita l’ho fatta due settimane fa accompagnato dal direttore sportivo Tare: diciamo che sono rimasto di casa. Quest’anno per loro è una stagione strana, non riescono a dare continuità ai risultati. Però in rosa hanno dei giovani fortissimi e credo che possano fare un grande girone di ritorno, come la passata stagione, e puntare a un piazzamento in Europa League“.
A settembre Pasquale ha fatto qualche allenamento con l’Ischia. “Solo per tenermi in forma” puntualizza. Tutti gli sforzi si sono concentrati sulla “Pasquale Foggia Academy”, la sua scuola calcio con sede a Caserta e sulla squadra del cuore: “Il Napoli ha tutto per reggere in testa: ha grandi giocatori, un entusiasmo travolgente, un allenatore bravo e preparato. Sarà un bel duello con la Juventus, ma non dimentico Fiorentina e anche Inter: è il campionato più bello ed equilibrato degli ultimi anni. Futuro? Sono ancora giovane, quindi posso valutare con calma e soprattutto maturare esperienza, che credo sia fondamentale come nella carriera da calciatore. Mi piacerebbe molto fare il direttore sportivo, ma non direi di no se qualcuno mi proponesse di allenare, mi attira molto come mestiere. Però un conto è giocare a calcio e un altro stare in panchina o dietro una scrivania. Adesso farò le mie riflessioni e poi prenderò una decisione. Perché ho smesso di giocare così giovane? Ognuno deve essere onesto con se stesso e con gli altri. Sono arrivato al punto di non avere più stimoli, motivazioni e quella voglia di giocare, di lottare e di fare quei sacrifici che sono indispensabili per onorare al meglio questo sport. La correttezza e la lealtà per me sono valori importanti e ho preso la decisione di strappare un contratto per altri due anni con la Salernitana, a cifre importanti. I soldi non sono tutto nella vita. Aiutano, certamente sì, ma dopo mi sono sentito bene con me stesso e la dignità e la felicità non hanno prezzo”.