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Qui Messina. Buonocore, quel gol alla Maradona per battere il Palermo

Dai complimenti del Pibe de Oro all’amicizia con Bobo Vieri, compagno di stanza al Ravenna: l’ex numero dieci si racconta in vista del derby di domenica

Buonocore sembravi Maradona fu il titolo del giornale la mattina dopo, quando l'impresa era stata archiviata, ma l'adrenalina scorreva ancora a fiumi e gli occhi faticavano a realizzare. Merito di quel gol fantastico al Palermo, confezionato saltando mezza difesa e battendo il portiere in uscita. Lo aveva visto fare al suo idolo e ci aveva impiegato poco ad apprendere il trucco. Lui ragazzino della Primavera, Maradona eroe di Napoli. Enrico Buonocore aveva la maglia numero dieci e i piedi sopraffini. Da quella magia sono passati vent'anni, eppure le immagini delle sue giocate restano vivide nella mente dei tifosi del Messina e, prepotenti, diventano d'attualità oggi che il destino ripropone la sfida ai rosanero e il calendario recita amaro Serie D.

Eravamo in B, ma più della rete fu importante la vittoria e lo slancio che diede a noi e ai tifosi per centrare la salvezza”. Parole da trascinatore, raccontate in esclusiva a Gianlucadimarzio.com. “Erano tempi diversi, insieme al Palermo di Sensi avevamo conquistato la promozione l'anno prima – spiega Buonocorementre il Catania, con Gaucci presidente, perse proprio al Celeste la finale play off. La Sicilia stava tornando a ritagliarsi un ruolo da protagonista nel panorama nazionale e tutti volevano venirci”. Sole, mare e stadi pieni, con buona pace dei luoghi comuni: “Penso basti il mio esempio. In riva allo Stretto, nel 2000, arrivai da Terni”.


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Dalla B alla C2, senza pentirsene mai: “Sembra paradossale a guardarla adesso. Le società erano solide, le proprietà importanti e l'obiettivo dichiarato era vincere, sempre. Per farlo non si badava a spese. A noi chiedevano solo di scendere in campo. Con i giallorossi arriveranno due promozioni e la salvezza in serie B nel 2002: “In C1 vincemmo al Barbera a distanza di quarant'anni dall'ultima volta e al 90' ricordo che non esultammo. Volevamo il campionato. Sapevamo di aver fatto un'impresa, soprattutto per la gente, eppure in cuor nostro era un mattoncino in vista di maggio.

La festa arriverà, ma ci vorranno gli spareggi:Perdemmo l'ultima ad Avellino, sbagliando un rigore. La sconfitta ci costò il salto di categoria a beneficio del Palermo. Ci ricompattammo subito e conquistammo i playoff”. In un copione da film, l'avversario non poteva essere uno qualunque: “Il Catania e in un certo senso me l'ero tirata. Loro, durante la stagione, ci batterono all'andata e al ritorno, allora per caricare l'ambiente mi sbilanciai un po' troppo. E' tutto scritto, dissi, li troveremo  in finale: li sconfiggeremo allora. Da leader era mio dovere, ma non vi dico come stavo in quei giorni. Avessi sbagliato, non avrei avuto nemmeno modo di salire sul traghetto e scappare”.

Nessuna scaramanzia, nonostante le origini napoletane: “Sono nato a Ischia e con gli azzurri ho fatto le giovanili. A 16 anni ero in panchina in Serie A, davanti a me, in campo, c'era Maradona”. Il ragazzino promette bene e il Pibe de Oro se ne accorge: “Segnai una doppietta al torneo di Viareggio e mi intervistarono nel dopogara chiedendo quale fosse il mio sogno. Li guardai e risposi, tornare a casa e ricevere i complimenti di Maradona. Il giovedì alla partitella andò così, forse aveva letto i giornali. Ad ogni modo io ero sulla luna, non ci credevo”.


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Il destino, però, ha altri programmi: “Nell'ambito dell'affare Zola, durante la stagione 89/90, andai in prestito alla Torres e poi al Latina. Fu a Ravenna, tuttavia, che trovai la mia dimensione”. In Romagna si sente a casa, diventa l'idolo dei tifosi e il rendimento s'impenna: “Erano campionati dal livello altissimo, ti capitava di affrontare la Fiorentina di Batistuta ed Effenberg o il Brescia di Hagi. Sul più forte, però, non ha dubbi e risponde secco: "Francesco Dell'Anno".

Curioso, se in squadra con te, nel 1994, c'è persino Bobo Vieri: “Aveva 20 anni, io 22 ed eravamo compagni di stanza e amici inseparabili. Christian andava indirizzato, ma aveva mezzi tecnici e fisici impressionanti. Era velocissimo, nonostante un fisico da corazziere”. Per non parlare del tiro: “In trasferta, ad Ancona, calciò da 30 metri prese la traversa e la palla tornò nella nostra metà campo. Una cosa simile non l'ho mai più vista”.

Con Zamparini e Recoba, a Venezia, assaggia la Serie A: “Durai poco, giusto un paio di mesi, poi andai a Terni. Accettai solo per fare contenti i miei, che da sempre sognavano quel momento. Io per dare il meglio, però, dovevo sentirmi a mio agio e l'ambiente evidentemente non rispecchiava questa esigenza”. Non è l'unico motivo per cui la carriera non decolla definitivamente: “Ci volevano i procuratori, io ero giovane e non me ne curavo troppo, così mi affidai a un tizio che non era proprio il top. Stavo facendo cose assurde, ma, mentre gli altri rendendo meno arrivavano in A, io senza un vero motivo mi ritrovai a Cosenza. Acqua passata: “In fondo, ho conquistato 9 promozioni. Mi ritengo soddisfatto”.


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A 34 anni, dopo Messina e un paio di brutti infortuni, Buonocore si rimettte in discussione: “Mi volevano diversi club tra i professionisti, ma io avevo in testa di fare un regalo alla mia gente. Trascinai l'Ischia in serie D, poi smisi. Fu un'avventura splendida, anche perché l'Eccellenza campana è difficilissima: serve qualità, ma soprattutto carattere”.

Profeta in patria, con Ravenna nel cuore: “Oggi, a 49 anni, Ci sono tornato a vivere, gestisco un albergo e abbiamo deciso di dismettere il ristorante e allestire altre camere”. Le preoccupazioni sono cambiate: “La ristrutturazione sta finendo, non vedo l'ora di riaprire. Ci potranno lavorare le mie figlie e per me, con i tempi che corrono, è un problema in meno”. Pensieri di papà, giocate da numero dieci.

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A cura di Nanni Sofia

Foto da Facebook