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Stessa porta, stessa delusione. A 18 anni dalla grande pioggia, sfuma nel finale la rivincita di Inzaghi a Perugia

Mani in tasca, passi brevi e uno sguardo al cielo. C’è il sole, stavolta su Perugia. Sono le 14:30 e Pippo Inzaghi cammina sul campo del Renato Curi. Impossibile non pensare al tempo. A quello che è passato e a quello sopra la sua testa. Sono passati diciotto anni, i capelli sono diventati più grigi, ma il ricordo è ancora vivo. Uno scudetto perso proprio lì, in quella porta sotto la curva sud. Pippo la guarda, dice due parole al suo portiere Audero e si allontana. Forse le immagini del 14 maggio del 2000 riaffiorano. Le occasioni sprecate nel primo tempo, il gol subito all’inizio del secondo. Gelato da Calori, ironia di un giorno insensato. Di una partita durata tre ore. Sarebbe piaciuta a Osvaldo Soriano, di sicuro non piacque alla sua Juve.

Sognava la rivincita Pippo. Ci è andato solo vicino. A 5 minuti dalla fine un gol di Buonaiuto gli toglie questa gioia. Guarda caso proprio in quella porta. Sotto la sud, una maledizione. Non perde uno scudetto, ma vede sfumare una vittoria fondamentale nella corsa ai playoff. Tre punti fuori casa che al suo Venezia mancano dall’inizio di novembre.

Ci aveva fatto la bocca a uscire dal Curi col bottino pieno. Il gol di Modolo l’aveva illuso. Sembrava il contrappasso più dolce: un difensore centrale, come Calori, a inizio ripresa. Oggi come ieri. Gioia smorzata.

Era stato perfetto nel neutralizzare le giocate di Diamanti. L’ultima volta che lo aveva incontrato sul campo era in un Livorno-Milan di dieci anni fa. Finì 1-4, Pippo ne fece tre. Altri tempi, stessa agitazione.

Davanti alla sua panchina, percorre chilometri. Si sbraccia, esce dall’area tecnica, viene richiamato, torna dentro e continua a urlare. Rispetto al maggio del 2000 ha gli abiti asciutti e una posizione diversa sul campo. Giacca e cravatta hanno preso il posto di maglietta e calzoncini. Maledetto tempo. Ma anche no, perché in fondo c’è un tempo per tutto. Quello per essere dei killer dell’area di rigore e quello per mettere in campo una squadra ordinata. Ogni tanto magari rimpiangendo di non poter più scendere in campo. “Oggi abbiamo sprecato buone occasioni per chiudere la gara, ci è mancato il cinismo”, afferma nel postpartita. Ironia della sorte, il gol è quello che manca al suo Venezia. Fra le prime otto, il Venezia è la squadra che segna meno: 43 gol in 35 partite. Pochi forse per sognare la promozione, abbastanza per essere tranquilli. “Siamo una squadra piccola e dobbiamo guardare alle cose migliori dell’ottima stagione che stiamo facendo. Venire a Perugia e comandare a lungo la partita è un grande risultato per una neopromossa”. Una facciata di realismo e serenità, ma anche il rammarico per non riuscire a concretizzare il volume di gioco messo in campo. Il giovane Marsura, schierato davanti insieme a Litteri, nel primo tempo spreca una grande palla messa dentro da Frey dopo una discesa corale perfetta. Mister Pippo si dispera e vorrebbe tornare Super. Ma quel tempo è passato e allora meglio guardare al presente. Sul suo Venezia splende il sole. Avrebbe potuto essere più caldo, ma tant’è. Il vento di Perugia spazza via velocemente la delusione. E anche i ricordi. “Quel 14 maggio è stato una pagina triste, ma il calcio è questo. Ho avuto tante soddisfazioni dopo e spero di averne altre ancora”.

Quando esce dal Curi c’è ancora il sole. Finisse oggi il campionato, Perugia e Venezia si ritroverebbero ai playoff per una gara secca in questo stadio. Forse la vendetta è solo rinviata.

Foto copertina: Roberto Settonce