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La storia di Mattia, dalla scuola calcio in Ucraina alla fuga dalla guerra: “Spero che i bambini stiano bene”

Mattia è un ragazzo torinese appassionato di calcio, che da qualche anno aveva fondato un’accademia per i bambini ucraini che oggi ha dovuto abbandonare per ovvi motivi

Si chiama Mattia Gozzo, ha 33 anni, è nato a Torino e con una passione più grande di ogni altra cosa: “Amo il calcio da quando ero un bambino e da quando iniziavo a tirare calci a qualsiasi oggetto trovassi in terra. Con gli anni ho sviluppato questa passione: ho giocato tanto, poi non sono riuscito a sfondare. Per chi tifo? La Sampdoria, maglia unica al mondo”. Laureato in Scienze Motorie, Mattia conosce sua moglie in Ucraina, e lì si stabilisce con un obiettivo particolare ma chiaro in testa: “Volevo fare qualcosa che potesse dare una speranza a qualcuno. Ho fondato un’accademia calcistica, si chiama ‘Atletico Tricolore’ e ho preso bambini dai tre anni fino ai diciotto, facendo un mio programma, studiato da me. I bambini con me hanno imparato molte cose nuove che nelle altre scuole calcio ucraine non venivano mai fatte. Alcuni sono stati anche contattati da qualche club importante. Per un istruttore credo non ci sia soddisfazione più grande”.

 

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“Ho fatto divertire tantissimo i miei bambini. Con loro vedevo anche le partite della Samp”

Mattia Gozzo ha fondato una sua accademia per bambini, a Irpin, cittadina distante 30 km da Kiev: “Ci allenavamo in un campo all’aperto in un giardino. Poi ho trovato una struttura dove andavano gli anziani a prendere il caffè e passare il tempo. Lì c’era una palestra, freddissima e con il classico stile sovietico: d’inverno c’era -10. L’ho rimessa a posto a mie spese e ci siamo allenati un po’ lì un po’ in un campo lì vicino che curavo tagliando erbacce, pietre e radici”. Toglieva quelle degli alberi, per metterne altre: “Da me arrivavano bambini di bassissimo livello, ma poi questo livello diventava medio e così via. Piano piano i genitori consigliavano ad amici e conoscenti di venire da me: così sono riuscito ad avere un gruppo di circa quaranta bambini. Li ho sempre fatti divertire. Con loro parlavo in inglese ed era un modo per entrambi anche di imparare altro, oltre al calcio e allo stare insieme. Ci si divertiva molto e ho sempre puntato molto sul divertimento. Con loro guardavo spesso anche le partite della Samp. Mi dicevano ‘Ma la Juve vince di più’ e io ‘E quindi?’. Ci siamo fatti grandi risate”.

  

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“Ci siamo svegliati col rumore delle bombe”

Purtroppo Mattia quando ci racconta la storia della sua accademia ci parla al passato: “Prima che iniziasse la guerra, qualche genitore mi diceva: ‘Mattia, noi da qui andiamo via. Non ci fidiamo più di questa situazione’. È stato in quel momento che ho capito che sarebbe potuto accadere qualcosa di serio. Io non ci avrei mai pensato. Tant’è vero che non avevo mai immaginato di tornare in Italia”. Il racconto della sua fuga da Irpin è da brividi: “Ci siamo svegliati con il rumore delle bombe e degli aerei che volavano sopra di noi. Inizialmente abbiamo provato a trovare un treno per fuggire ma erano tutti o soppressi o pieni di gente. Per fortuna siamo riusciti a prenotare un pullman. Partiva da Kiev: abbiamo fatto un autostop e 8 km a piedi per arrivare alla stazione dell’autobus. Poi siamo riusciti ad andarcene, finalmente. Quel pullman è stata la nostra salvezza e il viaggio è andato bene. Alcuni amici ci dicevano che anche in autostrada c’era chi sparava. C’era grande ansia, ma per fortuna siamo usciti dal confine sani e salvi”.

 

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Oggi Mattia è in Italia, nella Torino che l’ha cresciuto. Ma la testa è sempre là. Da quei bambini a cui ha insegnato tante cose e con cui ha stretto un legame forte: “Con qualche genitore sono riuscito a mettermi in contatto e so che ora stanno bene, grazie al cielo. So che alcuni hanno lasciato il Paese e/o si sono spostati verso ovest. Altri genitori non riesco a contattarli, mi auguro che stiano tutti bene”. Oggi non sa neanche lui se un giorno potrà tornare dai suoi bambini in Ucraina: “Non so… chissà quando finirà questa triste storia”, ci ha detto con un pizzico di amarezza. Ma una cosa è certa: Mattia può essere fiero di ciò che ha fatto: aver creato legami, condiviso passioni e insegnato – prima di dare calci a un pallone – la bellezza e il valore dello stare insieme. Tutto il contrario delle divisioni che ancora oggi fanno vivere nella paura, nel terrore e in un’inconcepibile incertezza.