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Antichità, grigiore e un’unica luce verso il progresso chiamata Ludogorets: alla scoperta di Razgrad, dove il calcio è chiave per l’innovazione

Raz-grad, regione Ludogorio. Focus sul nominativo, tra radice e desinenza: ti verrebbe da separarle, pensando al primo paragone nominativo con altre località dell’est (vedi Beo-grad, “città bianca”), ma il risultato figurerebbe completamente diverso. Il “problema”, se così si può chiamare, sta al principio: perchè se grad, tradotto dalla lingua del tricolore bianco-verde-rosso orizzontale, diventa facilmente traducibile in città, di Raz (a domanda posta anche a qualche abitante) non c’è traccia di significato. Nullo, a tutti gli effetti, un po’ come la vita sulla statale che conduce (dalla Romania, almeno nel nostro percorso) al luogo in cui Milan ha affrontato l’andata dei sedicesimi di finale di Europa League: la periferia di Bucarest prima, tra strade dissestate e un quantitativo di cani randagi particolarmente inusuale per le abitudini italiane, che apre verso una lunga distesa di campagne post dogana, inumidita da una nevicata inattesa nel giorno dell’arrivo rossonero in Bulgaria.

Bianco sul verde: nella strada verso la città, nei seggiolini che compongono la parola “Ludogorets” sulla tribuna principale dello stadio, nelle righe disegnate sul campo da calcio. Fondamentalmente, volendo trovare qualcosa di davvero colorato nella piccola cittadina bulgara da circa 30mila abitanti, l’unico sprazzo di vitalità sta proprio lì, sempre nel nome: Ludogorio come “area dalle fitte foreste“, in una traduzione finalmente capace di fornire un indizio chiaro sul luogo, nel dominio naturale che circonda la regione di Razgrad, fedelmente e simbolicamente riprodotto dalla serie di piccoli pini piantati in fila a circondare stadio e centro sportivo locali. Unici segnali e luoghi di modernità e progresso in una cittadina grigia, spenta e dalle infrastrutture fortemente improntate, per stile, al vecchio regime sovietico: un centro dotato della Torre dell’Orologio, simbolo della città, e della Ibrahim Pasha Mosque (seconda moschea più grande dello stato) come principali attrazioni turistiche, instradate su un corso ricco di bar e negozi dal business (per usare un eufemismo) scarsamente intenso, fuori da ogni logica internazionale e senza alcuna catena commerciale nota visibile.

Serve appigliarsi al calcio, insomma, per togliere il fitro “Inkwell” (usando terminologie Instagrammate) da una quiete che si fa sentire in maniera sin troppo forte, tra l’unica luce potente notturna in città dei riflettori dello stadio ed il modernissimo centro sportivo di chi qui, per tentare un paragone con la Serie A, si parla di una sorta di Chievo o Sassuolo made in Bulgaria. Spostarsi per pochi km a piedi, a 15 minuti circa di distanza dalla piazza principale, per recarsi nella cittadella sportiva di una centro abitato in cui la vita viene scandita da un cronometro da 24 secondi, quasi come nel basket, che va dal rosso al verde in ogni semaforo: al di là di qualche stendardo tra pali e palazzi per presentare “La partita dell’anno“, in casa Ludogorets, l’attesa viene tuttavia vissuta silenziosamente dai tifosi di casa, con un solo piccolo gruppo di supporter rossoneri (per la maggior parte provenienti dalla Romania) a farsi vedere per il piccolo corso principale della zona.

Necrologi con immagini per tappezzare, di muro in muro, il cammino verso lo stradone che porta ad un’oasi di innovatività e diversità, totalmente contrastante con il degrado del paesaggio circostante tra tanti spot kebab (con palloncini in omaggio al Milan) e numerose sale slot: la Football Academy più produttiva di Bulgaria, situata al fianco del centro sportivo biancoverde, vede tanti ragazzini decisi a rincorrere un sogno, dando uno sguardo tra entrata ed uscita alla bacheca sempre più crescente di chi, dal 2011, sta ormai dominando il calcio bulgaro. Campi d’allenamento curatissimi, store ufficiale del club all’interno, palestra e bar per riunire in pochi metri quadrati il vero gioiello brillante di una Razgrad che grazie al mondo del pallone, e agli investimenti di Kiril Domuschiev, spera di vedere sempre più nel Ludogorets un’ondata di speranza e progresso, progettando una stabilità sempre più forte ai vertici del mondo del pallone locale. Partendo da 25mila euro di investimenti per la rinascita del club e portandolo a trionfare, dimenticando la vecchia bancarotta e conducendo, parallelamente, le diverse aziende di cui è in possesso, tra il settore veterinario, quello farmaceutico e non solo. Luce accecante, insomma, in una città grigia e retrograda, abbracciata dal verde delle foreste e di una maglia che, silenziosamente, appare in maniera costante da ormai 6 anni nelle competizioni europee.

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