“Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole”. I 70 anni del “maestro” Zeman
“Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole“: Zeman way. Una frase che racchiude una carriera, una filosofia di gioco e di vita. Parla di Zemanlandia, il libro del boemo più famoso d’Italia, di calcio spettacolo, di grandi campioni come Totti e Nesta e di grandi battaglie, quelle che lo hanno costretto a un lungo esilio, ma che gli permettono ora di gonfiare il petto. Non è ancora finita la Zeman Story, adesso è ripartita da Pescara. Ma iniziamo dai primi capitoli…
Il “maestro” è nato a Praga il 12 maggio 1947: papà Karel è un medico, mamma Kvetuscia Vycpalek è casalinga. “Papà è stato uno dei primi a fare interventi di tracheotomia. Operava di giorno e scriveva trattati di notte. Non ho mai capito come facesse… Mio padre mi voleva medico. Come lui. Meno male che non è andata così“. Ci hanno pensato zio Cestmir Vycpalek, ex giocatore della Juventus, dello Slavia Praga e della Nazionale cecoslovacca e nonno Premysl a trasmettergli l’amore per il calcio. Grazie al nonno, Zdenek pratica pattinaggio e hockey su ghiaccio e fa scorpacciate di partite. Slavia Praga o Sparta Praga? Poco importa.
“Da piccolo a Praga mi dissero ‘prendi quella posizione’ e mai ‘prendi quell’uomo’: da quel giorno non ho più cambiato idea, sarebbe stata la zona il mio modulo di gioco ideale. “Il mio soprannome in squadra era “Pistone” perché in campo mi muovevo molto“. L’arrivo in Italia ha fatto il resto: era l’estate del 1968. Con la sorella Jarmilla va a trovare lo zio in Sicilia proprio mentre Praga viene invasa. Dopo un anno il Belpaese diventa la sua seconda patria. Laurea all’Isef di Palermo nel 1975 e il patentino di allenatore professionista nel1979 i successivi passi “italiani”.
Dopo le giovanili del Palermo la prima vera tappa di Zemanlandia è Licata, stagione 1983-1984. Grazie a un gioco spettacolare il campionato successivo ottiene la promozione in C2: 34 partite, 15 vittorie, 14 pareggi e 5 sconfitte. Marchio di fabbrica? 4-3-3 e reti a valanga: 58 i gol realizzati, 30 quelli subiti. “Quel Licata è irripetibile: allenavo una “nazionale siciliana”. Sette-otto giocatori li avevo cresciuti nel settore giovanile, passati in prima squadra giocavano ad occhi chiusi, “non ci dovevo dire” più niente. Un modello per lo spirito di appartenenza, oggi si tende a “mischiare tutti” e sei fortunato se hai un giocatore nato e cresciuto nella città della formazione che alleni”.
Ma lo spettacolo “deve ancora cominciare…”. Il Foggia, dopo una prima esperienza terminata con l’esonero, lo richiama in serie B nel 1989: nasce il “Foggia dei miracoli” del trio Casillo-Pavone-Zeman. Appena un anno e il sogno serie A si avvera: 51 punti e67 gol in 38 partite e primo posto in classifica. La vera Zemanlandia, una giostra lunga 90 minuti, fatta di gioco spettacolare, di triangolazioni, tocchi di prima e tante reti e dove “l’importante è fare un gol più dell’avversario”. A godere il trio delle meraviglie, Rambaudi, Signori, Baiano. In serie A due noni posti e un undicesimo .
E’ la vigilia di Pasqua del 1994 quando al patron della Lazio Cragnotti venne in mente di trasferire nella capitale il parco divertimento più famoso di Foggia, Zemanlandia. Il fascino del boemo colpisce un po’ tutti ad inizio anni 90. Un 4-3-3 spregiudicato, lezioni di gioco in quasi tutti i campi d’Italia. Il trio delle meraviglie Rambaudi, Baiano, Signori, così come molti altri dei protagonisti rossoneri, fanno le fortune dei pugliesi, in campo e nel bilancio di fine stagione. Baiano passa alla Fiorentina per 10 miliardi, Signori alla Lazio per 8. Una squadra spettacolare, che domini gli avversari e vinca attraverso il gioco: questo il sogno di Cragnotti.
“Il calcio è sempre lo stesso, sia in una piccola che in una grande città, il campo ha sempre le stesse misure e la preparazione è sempre la stessa“. E non cambiano neanche i metodi. Un ritiro fatto di sacrifici, gradinate, diete ferree. Zeman non guarda in faccia nessuno, manco il paffutello e ribelle Paul Gascoigne, pagato circa 26 miliardi di lire qualche anno prima, cifra pazzesca per l’epoca. Il rifiuto di giocare centravanti, in una situazione di emergenza, l’apice del rapporto conflittuale con il boemo, di fatto la fine della storia laziale di “Gazza”. Ma cosa importa se in rosa c’è gente come Signori, Casiraghi, Boksic, Aron Winter, Di Matteo, Marchegiani.
Sigaretta alla bocca, sguardo fisso sul campo, pochi sorrisi, perché “quelli importanti li tengo buoni per quando sono in famiglia”. L’esperienza laziale si chiude con un secondo e un terzo posto e con la valorizzazione di giocatori che poi fanno le fortune della Lazio come Alessandro Nesta e Pavel Nedved. La notizia dell’esonero gli viene data mentre sta partecipando all’incontro fra allenatori e capitani delle squadre a Coverciano. Triste epilogo per chi ha comunque divertito a strappato applausi. Si poteva fare meglio. E a chi gli fa notare che chiudeva da perdente ecco la risposta: “Talvolta i perdenti hanno insegnato più dei vincenti. Penso di aver dato qualcosa di più e di diverso alla gente”.
Il “boemo” non si deve spostare più di tanto. Nella stagione 1997-1998 Franco Sensi gli propone la panchina della Roma. Zeman chiude la stagione al quarto posto, qualificandosi alla Coppa Uefa con il miglior attacco della serie A. Nota dolente? Quattro derby persi su quattro. La stagione 1998/99 arriva un quinto posto, il miglior attacco della serie A e una vittoria e un pareggio nei derby. Sotto la guida del “maestro” si consacrano Francesco Totti, Luigi Di Biagio, Marco Delvecchio. Ma, un po’ a sorpresa, la storia tra Zdenek Zeman e la Roma finisce. Il sogno romano si trasforma in un incubo: Zeman paga le dichiarazioni sul doping.
“La frase ‘Il calcio deve uscire dalle farmacie’ l’ho pagata cara… Anche come risultati sul campo. Il sistema ‘non ci voleva’, e anche la mia carriera ha preso una direzione diversa. Potevo allenare il Milan, l’Inter o il Real Madrid. Bloccato anche all’estero? Certo, perché tutto parte sempre da un ‘sistema interno’. Però per me non è mai stato importante dove allenare: Licata, Foggia o Pescara, nella mia idea di calcio hanno lo stesso valore del Real o del Barcellona. I troppi farmaci che uccidono i calciatori? Non è che lo penso, è un fatto dimostrato. Ci sono state inchieste… Studi scientifici come quello recente americano parlano di un 16% di atleti dopati. Troppi”.
Dopo? Solo lampi di Zemanlandia, come a Lecce, stagione 2004-2005, conclusa con il secondo miglior attacco d’Italia e il lancio di campioncini come Vucinic e Bojinov. O la stagione 2011-2012, conclusa con la promozione in serie A del Pescara dopo 19 anni: 83 punti in 42 partite, 90 gol realizzati e 55 subiti. Ciro Immobile, Lorenzo Insigne e Marco Verratti ancora ringraziano. Poi solo delusioni, come a Roma e Cagliari. “Tieni palla dai, il pareggio mai, tu non lo firmerai” le note della canzone dedicata a lui da Venditti, un inno alla sua “coscienza pulita”. “Non è vero che non mi piace vincere: mi piace vincere rispettando le regole“: Zdenek, un esempio di sportività e lealtà. Tanti auguri “maestro”, oggi sono 70.