L’Europeo, il Lugano e le notti su ‘Transfermarkt’. A tutto Tramezzani: “Se l’Albania batte l’Italia vado in cammino con De Biasi”
Cinque anni da vice di Gianni De Biasi poi il Lugano. Paolo Tramezzani non parteciperà ad Italia-Albania, ma seguirà comunque quella che poteva essere anche la sua sfida: “La guarderò dalla tv, possibilmente da solo che è meglio”.
La scorsa settimana fece rumore la decisione di portare la sua squadra in fabbrica: “Volevo dimostrare a loro cosa vuol dire lavorare”. Poi però un’altra sconfitta, 0-2 in casa dallo Young Boys, e si cambia: tutti al mare: “Bisogna usare bastone e carota, me lo ha insegnato Gianni, ci vuole sempre un po’ e un po’, e comunque la cosa della fabbrica la rifarei. Ma ora i ragazzi avevano bisogno di staccare”.
Italia-Albania. Chi vince?: “Albania. Per loro è una finale del Mondiale, non è solo una partita, è rivalsa sociale, è storia. Noi italiani non possiamo nemmeno capire. L’Italia è più forte, sì, ma serve far punti dopo la sconfitta con Israele. Entusiasmo e organizzazione di gioco potrebbero fare la differenza. Ha ragione il mister: l’Italia ha scelto Palermo perché aveva paura dei tifosi albanesi” – le parole di Tramezzani rilasciate al Corriere della Sera.
Meglio concentrarsi sul Lugano: “La Federcalcio albanese mi ha spedito un biglietto in tribuna d’onore, ci ho pensato, anche Gianni insisteva, poi ha capito: è un momento delicato per noi, non era serio. Il mio posto è qui. È la stessa ragione per cui ho interrotto la mia collaborazione con la Rai: non era professionale, nella vita bisogna scegliere”.
Sulla scelta di andare in Svizzera: “L’esperienza in Albania mi ha cambiato la vita, mi ha fatto capire molte cose. Ad esempio che voglio fare l’allenatore in prima, prendendomi le mie responsabilità in maniera esclusiva, totale. Era il momento giusto, quando sei mesi fa ne ho parlato con Gianni lui ha capito subito”.
De Biasi sostiene che senza Tramezzani quest’Albania non esisterebbe: “Esagera. Gli sarò grato per sempre. Sono stati due anni pazzeschi, densissimi ed entusiasmanti. Abbiamo ricostruito insieme una squadra a fine ciclo andando a cercare in giro per l’Europa tutti i convocabili, ragazzi nati magari anche altrove ma di origine albanese. La Federazione non aveva una lista, ho passato giorni e notti sul sito Transfermarkt, ho fatto 157 trasferte, telefonato a non so quanti uffici anagrafe, monitorato 112 giocatori convocandone 68. Un lavoraccio”.
Poi però tutto questo lavoraccio è stato premiato con la partecipazione all’Europeo: “Una soddisfazione unica. Il ricordo più forte è un’anziana donna vestita di nero in lacrime al nostro ritorno dalla trasferta in Armenia. Ma non è stato semplice. In parte anche io come De Biasi mi sento albanese. Il lavoro di reclutamento mi ha permesso do conoscerne la cultura, capire quanto alcuni pregiudizi fossero insensati. Ma anche le contraddizioni di una terra incredibile. Una volta ho passato tre giorni rinchiuso in un albergo di Salonicco per provare a convincere Ergys Kace a scegliere noi e non la Grecia”.
Con Januzaj non andò altrettanto bene: “No, infatti. Januzaj poteva scegliere fra Belgio, Albania, Serbia e anche Inghilterra. Io e Gianni andammo a parlare con suo nonno in un villaggio rurale. Un film. Non sempre a lieto fine, lui per esempio ha detto sì al Belgio. Anche se non è stata una grande scelta. Si è perso. Sembrava un predestinato, e invece niente. Con lui in attacco l’Albania avrebbe fatto un bel salto in avanti. Ma la qualità non manca: Hysaj lo conosciamo, poi c’è Strakosha che sta crescendo con la Lazio, poi Basha e Memushaj hanno esperienza. E infine le punte Manaj e Sadiku, sempre pericolose”.
Infine sulla diversa grinta degli albanesi rispetto agli italiani: “Sì, fra i giovani c’è più ambizione, più voglia di emergere, direi anche di sacrificarsi”. De Biasi dice che se vince fa il cammino di Santiago? Se succede davvero, io vado con lui”.