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“Lasciare il calcio? In molti lo hanno pensato, ma si sbagliavano…”. Carpi, la rinascita di Melchiorri

“Lasciare il calcio? In molti lo hanno pensato: è stata una carica per dimostrare che si sbagliavano”.Tredici mesi per ritrovarsi, per riprendere il feeling con il campo, per ridare del tu al gol. Federico Melchiorri ha gli occhi della tigre, di chi ha messo alle spalle l’ennesimo “sgambetto” della sfortuna per tornare alla gloria. E’ ripartito dal Carpi il “giaguaro”, in serie B: 2 gol in 4 partite, l’ultimo sabato scorso contro la Cremonese. Cuore e determinazione i simboli di questo campione sfortunato: c’è stato veramente qualcuno che aveva messo in dubbio la nuova rinascita del bomber di Treia? La serie A ritrovata dopo 10 anni, ripartendo dai campetti polverosi dell’Eccellenza marchigiana, aveva restituito ciò che una brutta malattia aveva tolto a Federico in pochi secondi. La rete alla Sampdoria, la prima in serie A, la pagina più bella della favola. Poi la doppietta di San Siro contro l’Inter (eh sì, gli diamo anche la seconda rete), nella Scala del Calcio, i complimenti, le prime voci azzurre… tutto troppo bello. Il 17 dicembre del 2016 il ginocchio fa di nuovo crack, la sfortuna è sempre lì, ha imparato a memoria l’indirizzo di Fede, ma ha perso ancora una volta il confronto…: troppo forte Melchiorri.

Il 27 gennaio la scena sognata per mesi, il pallone che rotola in rete, le braccia alzate al cielo, il sorriso ritrovato. “Una grande liberazione” – dichiara Federico ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – “Mi ha confermato ciò che forse si era messo in dubbio, cioè che posso essere ancora un calciatore. Sono stati 13 mesi duri perché il recupero è stato difficile e lento, ma non ho mai mollato e ho sempre cercato di fare le cose nel migliore dei modi. Non poteva esserci scelta migliore di Carpi, qui mi trovo benissimo. Ho trovato un gruppo di ragazzi fantastici guidati da un allenatore e una società che hanno la giusta fame e mentalità: il posto più adatto per fare bene. Il primo obiettivo rimane quello di salvarci, da queste parti non si guarda la classifica”. Ora la domanda più difficile… hai mai pensato di lasciare dopo la ricaduta di Empoli? “In molti lo hanno pensato e questo mi ha spinto ancora di più a dimostrare che si sbagliavano”.

Più dura questa “battaglia” o quella del 2010, con l’operazione per la rimozione del cavernoma? “L’intervento neurochirurgico sicuramente è stata una cosa molto delicata, ma cerco sempre di affrontare tutto con positività: sapevo che ne sarei uscito più forte. Ho dovuto aspettare parecchio prima di iniziare a giocare nuovamente, ma tutto è tornato in modo naturale e spontaneo. Anche colpire il pallone di testa, non avevo più paura, ho ripreso fin da subito: il pallone è un mio amico…”. “Senza la malattia mi sarei perso”: ci spieghi questa frase? “Semplice… La malattia mi ha fatto concentrare di piu sulle cose importanti e meno sulle sciocchezze che vanno e vengono e ti distraggono dagli obiettivi. Mi ha fatto maturare, crescere più velocemente da un punto di vista mentale”. Scegli una foto dall’album dei ricordi: la partita e il gol più belli della tua carriera? “Cagliari-Sampdoria perché oltre al primo gol in serie A ha significato il ritorno da un periodo difficile: un giorno lo racconterò ai miei nipotini”.

A proposito di passato… so che sei un grande tifoso della Maceratese, che rappresenta una delle tappe fondamentali della tua scalata, che idea ti sei fatto del fallimento del Pistacoppi? “E’ la mia squadra del cuore, ma purtroppo la Maceratese non riesce mai ad avere una società solida e ogni tot di anni dichiara fallimento. Una storia gia vista… Devo tanto a quella società, però aggiungo che adesso la mia squadra del cuore è anche il Carpi, mi sento totalmente preso dal progetto. A questo club va il grazie più grande per avermi dato la fiducia come calciatore. Oltre che, naturalmente, alla mia famiglia e alla mia ragazza Camilla perchè mi hanno sempre accompagnato senza mai mollare anche nei momenti piu bui”. Sull’idolo, invece, pochi dubbi: Del Piero, giusto? “Sì e ti racconto questo aneddoto. Nell’estate del 2013 c’è stata l’amichevole Padova-Sydney, mi sono fatto 30 metri di corsa per stringere la mano ad Alex e mi sono limitato a un “grazie”. Perché? Non mi sono uscite altre parole, l’emozione era troppa. Poi un “grazie” racchiude tutto quello che ha dato a me e a tutti i ragazzi della mia età. La maglia non avrei mai potuto chiederla: è il mio idolo. Se la gioca alla pari con Roberto Baggio“.

Bellissimo, ce l’aveva raccontato il tuo agente e amico d’infanzia Matteo Rossetti che ti ha definito un “secchione” ai tempi del liceo: è vero? (ride) “No, purtroppo ho scoperto la bellezza della conoscenza tardi e sto cercando di recuperare. Materia preferita? Matematica, perché era l’unica che mi risultava semplice. Cosa avrei fatto se non fosse andata come calciatore? Non ne ho idea. Mi appassiono a tantissime cose per un breve periodo di tempo quindi chissà cosa avrei fatto…”. Canzone e gesto tecnico preferiti? “Canzone “grazie mille” degli 883, la giocata… diciamo il rimpallo, almeno, molti compagni direbbero così. Non voglio pronunciarmi, altrimenti riceverei troppe lamentele dagli amici (ride di nuovo). Visto che siamo in vena di curiosità ti dico anche il mio soprannome, ‘il giaguaro’. A Cagliari mi chiamavano così per l’intensità e la rapidità che mettevo in campo”.

La domanda è d’obbligo: come hai in mente di concludere la tua favola? “La mia speranza è che non sia ancora arrivato quel momento e magari ne riparleremo il giorno che arriverà. Nei miei pensieri c’è ancora tanto da scrivere, l’inchiostro non manca… Una cosa è certa, ho ancora tanti anni di carriera davanti”. Nuovi colpi di scena e pagine esaltanti in arrivo, per la parola “fine” nel vocabolario di Federico Melchiorri pare proprio non esserci posto…