In principio fu il bianco e il nero, il presente sfumato in Blancos. Questione di colori, di ricordi, di destini. Quelli di Zinedine Zidane e della Juventus si intrecceranno di nuovo stasera a Cardiff. Trama da colossal: tra trionfi, delusioni e incontri solo sfiorati. Con un finale tutto da scrivere. Si è divertito lo sceneggiatore. Probabilmente se qualcuno il 20 maggio 1998 avesse detto a Zizou che quasi vent’anni più tardi avrebbe affrontato i bianconeri in finale di Champions e seduto sulla panchina del Real Madrid lo avrebbe preso per matto. Il motivo? Semplice: proprio quel giorno Zidane e la Juventus perdevano la finale di Champions League proprio contro il Real di Heynckes. Scambio di ruoli, posizioni invertite. Dal campo alla panchina, con il nero che ha lasciato spazio al solo bianco. E che allenatore che è diventato Zizou: pragmatico, essenziale. Soprattutto vincente. Eppure c’è qualcuno non avrebbe scommesso un euro sul suo futuro in panchina “troppo timido e riservato”.
Lo è sempre stato Zidane, non diceva una parola “per farlo reagire bisognava stuzzicarlo” ricordano i compagni ai tempi della Juve. Preferiva far parlare pallone: il mezzo supremo con cui il fuoriclasse francese riusciva ed esprimersi. Con quello componeva poesie, scriveva la storia. Piedi d’oro, classe immensa “anche meglio di Platini” secondo alcuni. E pensare che all’inizio della sua carriera al Cannes giocava terzino sinistro. Ci hanno messo poco per capire che andava spostato qualche metro più avanti, libero di inventare. Da lì l’ascesa: prima il Bordeaux, poi la Juventus, a 24 anni. Capelli già diradati, inizio così e così, problemi di lingua e di ambientamento. Per alcuni addirittura “un acquisto sbagliato”. Poi la molla: gli è bastata una punizione pennellata contro l’Inter per esplodere. Non si è più fermato. Se in campo era un punto di riferimento per i suoi compagni, fuori veniva bacchettato in più di un’occasione. La colpa? Dei suoi calzini bianchi “veramente orrendi, erano inqualificabili”. Un bel giorno se li trovò tagliati a pezzettini e incollati all’armadietto. Da allora non li mise più così.
Ragazzo tranquillo Zidane: pochi eccessi, zero movida, tanto lavoro: “Tutte le sere, verso le 19, ero in pigiama e mi sembrava normale. Ecco come era la mia vita a Torino". Antidivo, con qualche problema con la cucina italiana “ero anche quello che tagliava la pastasciutta, senza sapere che commettevo un grosso errore. Mi hanno fatto a pezzi!”. Cuore grande, sempre pronto ad aiutare con Egdar Davids. Cappellaccio da pescatore e via, insieme andavano a giocare sull'asfalto dei parcheggi torinesi con gli immigrati: “A spingermi era Egdar: mi diceva “E' per loro che dobbiamo giocare, sono queste le partite importanti'”. Ne ha giocate anche altre Zidane con la maglia della Juventus, anche su campi ben più prestigiosi dei parcheggi torinesi. Non sempre gli è andata bene però. Soprattutto in Champions League. Sembrava una maledizione: finale persa nel 1997 con il Borussia Dortmund e l’anno dopo con... il Real Madrid. Già, scherzi del destino. Eppure: “Avevo rimosso la sconfitta con il Borussia. Capita, con le sconfitte”. Soprattutto quando sono surclassate dalle vittorie: arrivate col Real, in campo e in panchina.
Eppure nonostante l’addio, il destino di Zidane è rimasto indissolubilmente legato a quello della Juventus. Non a caso la sua cessione portò a Torino un certo Gianluigi Buffon, attuale capitano e anima dei bianconeri. Un incontro solo sfiorato, almeno da compagni di squadra. Perché da avversari si sono incrociati e come, e chi se lo scorda… Buffon non di certo: “Quella su Zidane nel 2006 la mia parata più decisiva”. Finale del mondiale, l’ultima di Zizou da calciatore. L’epilogo è tristemente noto: testata a Materazzi e addio sogni di gloria. Uscita mesta, a testa bassa. L’ha rialzata in fretta Zidane: lo ha fatto da allenatore. Nonostante la timidezza, nonostante il carattere chiuso. Nonostante tutto. Già una Champions League, stasera la possibilità di vincerne un’altra. Per riuscirci dovrà battere la Juventus a Cardiff, un altro pezzo del suo passato, un’altra parte di cuore: "Alla Juve sono diventato un uomo". Si troveranno da avversari Zidane e la Juventus, eppure da Torino è come se non se ne fosse mai andato. E’ ancora nei cuori dei tifosi, nel pallone d'oro vinto e in quella maglia numero 21 che per anni è stata sinonimo di grandezza. Ancora oggi mantiene quel significato, e chissà che effetto gli farà vederla inossata da quel talento argentino di nome Dybala che potrebbe essere lo spauracchio numero uno per i Blancos.