LO SCRIGNO DEL COLONNELLO
Una premessa: raggiungere lo stadio è molto semplice. Si trova in centro, a 300 metri da Piazza Maidan, Hrushevskoho street. La vita di Valerij, sia da calciatore che da allenatore. 30 anni in panchina dal 1973 al 2002 (intervallate dall’Urss). Lobanovskyj aveva uno stile tutto suo, diverso, intrigante. Un physique du rôle da made in Est Europa. Criptico ed enigmatico. Una volta, durante una conferenza, invitò un cronista a prendere il suo posto. Beveva, ma non tollerava che i suoi calciatori lo facessero: trovò ubriaco un ragazzo della squadra, lo obbligò a fare il custode del campo per cinque mesi. Lobanovskyj era così. Duro, intransigente, soprannominato “Colonnello” per via del suo grado nell’Armata rossa. Smise di giocare a 29 anni dopo un litigio col suo allenatore. Ma per i giocatori era come un padre. Shevchenko lo definì il “Dio del calcio ucraino”. Lobanovskyj si vantava di aver scoperto “un diamante grezzo”. Quando capì che sarebbe diventato un campione lo fece smettere di fumare, impedendogli perfino di andare al matrimonio della sorella. Aveva già capito tutto. Quando Valerij morì, Sheva portò la Champions nel 2003 sulla panchina fuori lo stadio, tra le lacrime (farà lo stesso con il Pallone d’Oro del 2004). Più di 1000 panchine in carriera, 21 trofei con la Dinamo, l’anno d’oro del 1975. Triplete. Quel termine non l'aveva ancora coniato nessuno, ma era già suo.