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Venezia, la notte più alta. Poggi: “Se servono braccia, il calcio c’è”

12 novembre 2019: ‘l’acqua granda’ colpisce, la città soffre e prova a ripartire. Cronaca di un’emergenza, attraverso il racconto dell’ex attaccante veneziano

Sei ore cresce e sei ore cala. Martedì mattina, la marea già avverte San Marco. Il presidente del Venezia Joe Tacopina arriva per una conferenza a Palazzo Ducale armato di stivali. Sorride, allarga le braccia, foto: dove la trovi, un’altra città così? L’acqua è alta, ma nella norma. Ancora bellezza, più che catastrofe. Scende nel pomeriggio. Nessuno avrebbe mai potuto immaginare.


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Sei ore cresce. Cresce, cresce. Maledetto scirocco, il vento da sudest che gonfia la laguna. Una, due, tre, quattro volte suonano le sirene. Sono le stesse che in tempo di guerra allertavano le città italiane in caso di bombardamento. Perché di questo si tratta, per Venezia. Risparmiata dalla storia, non dalla geografia. “All’acqua alta siamo abituati, a combattere contro la corrente no”, racconta Paolo Poggi, storico attaccante dell’Udinese, in esclusiva per GianlucaDiMarzio.com.

In tutti i suoi 48 anni non ha mai visto niente del genere: la sua città è irriconoscibile, la notte del 12 novembre. Salta l’illuminazione pubblica, il buio e l’acqua inghiottono tutto. Vaporetti, pontili, perfino un’edicola. “La zona dove abito io, a Cannaregio, è più interna e quindi protetta dal vento”, spiega Poggi. “L’acqua è entrata nell’ingresso di casa mia, ma quelli che avevano bisogno di una mano erano altri. Quindi sono sceso con mio figlio: in momenti del genere in fondo non servi a niente, ma l’incoscienza ti dice di provare comunque a renderti utile. Fuori, c’è da spaventarsi. “Tutto era quasi paradossale, imprevedibile. L’impeto dell’acqua nelle calli è qualcosa che mi ricorderò per sempre: sembrava di camminare in un fiume in piena, Via Garibaldi a Castello è l’esempio lampante”.

Quello è anche il sestiere di Riccardo Bocalon, attaccante del Venezia di oggi. “Nelle ore successive l’ho incontrato a Sant’Elena”, continua Poggi. “E lì si percepiva davvero la forza del vento, i pini sradicati. Un senso di totale impotenza”. Dall’isola dello stadio a San Marco, le onde sputano a riva i rigurgiti della tempesta, le raffiche oltre i 100 km/h: mucchi di gondole fin sopra i ponti, i taxi incastrati dentro le calli. Si moltiplicano le voci: principi di incendio, case sommerse, imbarcazioni alla deriva. ‘È come 'l’acqua granda' del ’66’. Purtroppo molte sono vere. Due le vittime nel sottile litorale di Pellestrina, stretto in una morsa tremenda tra mare e laguna. Dalla Piazza simbolo della città, il sindaco invoca lo stato di emergenza.


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“Ma la fotografia di queste situazioni, fortunatamente rare a Venezia, è la solidarietà successiva”. Sei ore cresce e sei ore cala, alla fine anche questa volta. L’alba schiarisce il disastro, si contano i danni. “Anche i privati hanno avuto problemi, ma la cosa più evidente sono i negozi, la merce galleggiante”. O perduta. C’è una libreria simbolo di nome ‘Acqua alta’, una gondola adibita a scaffale: immagine premonitrice, al mattino conta le pagine perse dei veneziani. “Fa male vedere tutte le attività commerciali combattere invano contro l’acqua”, l’amarezza di Poggi. È una rincorsa agli aiuti, 500 volontari puliscono le calli. Si attiva anche lo sport. “Oggi non servono parole, ma azioni concrete. Parlando con la società e i ragazzi, tutti erano e sono tuttora a disposizione se ci fosse bisogno di braccia. Poi bisogna gestire le operazioni in spazi ristretti, ci vuole attenzione. Ma la cosa più importante è far sapere che noi ci siamo”.

E attorno al Venezia, anche i tanti messaggi di solidarietà dal mondo del calcio. “Un grande piacere. Gli esempi sono tantissimi, dalle squadre di Serie A al Padova. La rivale di sempre, unita nel dolore fuori dal campo. “Poi la nostra società valuterà nei prossimi giorni in che altro modo mettersi a disposizione. Attraverso risorse, iniziative: non è facile pensare a qualcosa di realmente utile in questo momento. Ma sono sicuro che il presidente Tacopina, che abita in centro storico, sarà il primo a farsi venire in mente qualcosa per la comunità”.


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Sei ore cresce di nuovo, dritto al cuore: la Basilica di San Marco piange in un bagno di sale. “Le immagini della cripta allagata sono il simbolo di queste giornate, il pensiero di quale patrimonio artistico e culturale possa essere a rischio”. Per molti è il momento della rabbia, di un dramma collettivo che si poteva evitare (il Mose resta una chimera, corruzione più che mistero). Ma Paolo riesce comunque a intravedere una speranza nelle difficoltà. “Fa rabbia la disgrazia in sé, evitiamo però di cadere nelle banalità: non è il momento di puntare il dito contro qualcuno, ma di trovare la forza per ripartire. E mi viene da pensare che la risonanza riscontrata a livello globale possa almeno sensibilizzare i visitatori sulla fragilità di Venezia.

Poggi giocava con Totti e con Bierhoff, ma oggi è il responsabile dei progetti internazionali del club di Tacopina: “Serve una presa di coscienza anche da parte di chi viene qui: questa è una realtà unica al mondo, informarsi si può e si deve”. Lo dicono i numeri, due turisti al giorno per ogni residente. Venezia è un patrimonio di noi privilegiati che ci viviamo, ma anche di tutti coloro che la amano e la rispettano. È come il vetro di Murano: va ammirata e trattata con i guanti”. Questa volta restano i segni di un vaso scheggiato. “Ma alla luce del terzo giorno, è bello vedere che la maggior parte dei negozi sta riprendendo con fatica le attività, sorride Poggi.

Quando le cose in laguna buttano male, per farsi coraggio si dice Duri i banchi. Eredità della Serenissima, un invito a tenersi forte alle pareti delle galee in tempo di burrasca. ‘I banchi’ in riva della Biennale hanno ceduto, divelti i marmi e i mattoni. Anche quelli del monumento alla Resistenza: l’incisione ‘Venezia alla partigiana’ ora arriva solo fino alla p. La città perde pezzi, non la forza di lottare: “La nostra gente non ha paura di un evento del genere. Lo soffre, poi lo affronta e lo supera”. Si aggiusterà tanto. Ci vorranno tempo e risorse. Sei ore cresce e sei ore cala…


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