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Data: 18/11/2016 -

Parla Joe Hart: “A Torino mi sento speciale. Guardiola? Non c’è odio, ma non c’era una strada insieme”

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Probabilmente è stato il trasferimento più romantico, veloce e fuori dagli schemi dell’ultimo calciomercato. Joe Hart a Torino però nel giro di tre mesi è passato dall’essere il grande portiere dell’Inghilterra e del Manchester City che si rimetteva in gioco in Italia, a idolo della tifoseria del Torino. L’amore sbocciato tra lui e i tifosi granata è in continua ascesa e tramite le colonne de La Stampa, il numero uno inglese spiega i motivi dell’approdo in Italia: “Sono cresciuto guardando calcio italiano in tv, sono stato a Torino prima e mi è sempre sembrata intrigante, ho parlato con persone di cui mi fido, tra loro Vieira che conosce il posto. Cosa mi ha detto? Parti, starai bene lì, ha capito la mia situazione sapeva che avevo bisogno di giocare e di una squadra seria». Per adesso è un prestito quello al Torino, poi chissà: “Voglio godermi questa stagione al Toro. Al futuro non ci penso».

Trasferimento che ha una motivazione ben precisa: Pep Guardiola. L’allenatore spagnolo fin dal suo arrivo a Manchester ha ammesso come per Hart non ci fosse spazio nel suo nuovo City. “Odio? Certi sentimenti non si addicono alle questioni professionali. Però se sono qui significa che non c’erano strade da trovare». Che cosa conosceva del Toro prima di arrivare? «La sua storia, la grandezza del passato e lì mi fermavo. Poi mi sono documentato, ho capito che Superga è un ricordo vivo anche se è successo negli Anni Quaranta. Ho visto che sono stati in Europa League di recente e che quindi l’Europa è una dimensione a cui puntare e ho studiato Mihajlovic, a partire dalla sua carriera da giocatore». Ha studiato Hart e soprattutto, visto il suo passato, è più legato all’Italia di quanto si pensi, grazie ai suoi due mentori, Mancini e Capello: “Impronta italiana in me? Ne Vado fiero. Con Mancini al City abbiamo avuto successo, Capello mi ha scelto come titolare dell’Inghilterra e di certo non lo dimentico”. Tra poco ci sarà il derby di Torino: “Sarà emozionante, ho capito che i due club si rispettano e una rivalità di questo tipo mi esalta. Se possiamo vincere? Possiamo farlo in ogni partita, per riuscire a batterli sarebbe importante arrivare a quell’appuntamento vincendo”. Uno degli ostacoi più grandi contro la Juventus sarà Buffon, totem dei portieri di tutto il mondo: “È uno dei miei eroi calcistici, uno dei migliori al mondo. Ha davvero tutto, è unico”.

Ieri Premier League, oggi Serie A. Hart li ha provati entrambi e dice la sua sulle differenze tra i due campionati: “Dal mio punto di vista, la porta, non vedo tutte queste differenze. Sono due campionati senza risultati scontati. Cosa mi ha sorpreso? Il pubblico. In Inghilterra gli stadi sono sempre pieni, qui no ma l’atmosfera è fantastica. In casa è uno spettacolo. Sono molto grato ai tifosi perché spendono soldi e tempo per venirci a vedere e cerco di restituire, di dimostrare che loro sono parte della squadra. Io lavoro con loro”. Poi Hart svela come questo amore tra lui e i tifosi si sia spostato anche dai confini nazionali. Durante Inghilterra-Scozia si è sentito chiamare dagli spalti da alcuni tifosi arrivati dall’Italia: “Pazzesco, ho sentito il mio nome e non mi aspettavo quell’accento: mi sono girato di scatto e c’era questo gruppetto di scatenati che roteava le sciarpe del Toro. Mi sono sentito speciale”.

Mihajlovic un allenatore che ha trasformato il Torino: “Lavoriamo sodo, giochiamo da squadra e c’è tantissima qualità in questa rosa. Mi piace il modo in cui insegna calcio: si aspetta il meglio ogni minuto e quando dai il massimo te lo riconosce. Così come è molto esplicito se qualcosa non gli va, è altrettanto generoso nei complimenti. Sa che siamo una squadra giovane e ha trovato un modo sano di mettere pressione. Crede in noi e ce lo manifesta, per questo non si può essere frustrati se ti striglia nei giorni storti”. Parla anche di Belotti: “Me lo tengo stretto. Ma in squadra siamo concentrati e non abbiamo voglia di guardarci intorno perché qui sentiamo tutti di essere in un momento speciale. Un momento speciale e fragile perché basta un attimo per rovinare tutto. Non si può pensare ad altro”.

Infine il capitolo Nazionale, tra la disfatta agli Europei e lo scandalo Allardyce: “È stato un processo difficile, ma è uno di quei casi in cui devi fartene una ragione e semplicemente andare avanti. Il calcio non finisce lì, anche se dopo la sconfitta con l’Islanda sembrava il contrario. Dovevamo proteggere i giovani, togliere il fardello. In questo abbiamo dimostrato di essere squadra. Non è un caso che siamo in testa al girone di qualificazione e neanche il modo in cui abbiamo giocato con la Spagna. Per noi non ci sono più amichevoli”. Allardyce? Situazione complessa. Ho accettato le conseguenze senza congetture, succedeva troppo sopra la mia testa. Ora spero solo che la Federazione decida in fretta che strada prendere”.



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