"Vedi ragazzo mio, secondo me Lui è uno di quei giocatori capaci di farti innamorare del pallone. Sempre corretto, stile inconfondibile, visione di gioco come pochi: un campione". Parole di un papà che, anni fa, conversava con il proprio figlio sul mondo del calcio al quale, un bambino come tanti, si era affacciato ormai da qualche tempo. Album di figurine in mano, partite su partite in tv e i primi calci al pallone: una passione che nasceva e cresceva ma che, dal punto di vista tecnico del gioco, non poteva che essere ancora limitata.
Tra corse in edicola, montagne di pacchetti di figurine ed album da sfogliare, lo sguardo finiva sempre lì: Ronaldo, Weah, Shevchenko, Vieri. Un'attrazione troppo grande per chi, praticamente ogni domenica, gonfiava la rete con facilità irrisoria. Caramelle e cioccolato per bambini, attrazione fatale: l'amore e l'emozione per il gol andavano oltre ogni cosa. Quel discorso di papà, però, analizzato dalla cocciutaggine tipica del ragazzino ingenuo, non tornava, e doveva essere compreso. L'ossessione per quel Lui, menzionato qualche riga più sopra, portava dritto a testa e piedi di un portoghese dalla carnagione olivastra, con il "10" incollato alle spalle: Manuel Rui Costa.
Volo spiccato con le ali dell'águia del Benfica, tra giovanili e prima squadra, e in mezzo un salto nel Fafe. A 21 anni portava già o numero Dez, da sempre proprietà di un certo Eusébio capace, a 9 anni, di scoprirne le grandi qualità: una personalità smisurata, che lo porta a volersi confrontare con un altro tipo di futebol, quello della Serie A. Porte del "Franchi" spalancate, Firenze la sua nuova casa, la trequarti il suo regno, con la maglia che fu di Roberto Baggio. Nella splendida Fiorentina di fine anni '90 gioca, segna, diverte: il "Nintendo" sulla maglia Viola ed in testa, joystick mentale per imbeccare quando e come vuole la mitraglietta di Gabriel Omar Batistuta. Due Coppe Italia, 40 gol in 7 annate ed un saluto obbligatorio, da capitano, ad una Viola sull'orlo del baratro: Berlusconi sfodera l'acquisto più caro della storia del Milan (85 miliardi di lire) e, manco a dirlo, prepara al portoghese la maglia numero 10, vecchia proprietà di Rivera, Gullit, Savicević e Boban.
Il ragazzino ingenuo, davanti a quel trasferimento tanto oneroso, non coglie. "Io, con quella cifra, comprerei Del Piero o Ronaldo" pensa. O Maestro, però, sta per iniziare la tappa forse più importante della propria carriera, tra un onerosissimo investimento e le grandi aspettative di tutti: il bambino vede, scruta, incolla gli occhi in maniera proporzionale a quanto il pallone non si stacchi mai dai piedi di un pozzo di classe infinita. Compasso aperto e chiuso a piacimento, la palla va sempre dove vuole lui, con quei calzettoni sempre a metà: trequartista in solitaria o nell'albero di Natale, la sostanza è la stessa. Il leggìo diventa una formalità e viene messo da parte, l'intesa con Inzaghi e Shevchenko è immediata e surreale: con il Milan vince tutto, guardando il mondo dall'alto, con superiorità e galanteria del campione, senza mai lasciar trasparire un velo di arroganza o polemica. Nemmeno quando un ragazzino brasiliano dal nome buffo e con la 22 addosso, sbarcato sulla sponda rossonera via San Paolo, costringe Ancelotti a relegarlo spesso in panchina. Assist a grappoli, gol con il contagocce: una maledizione infranta 11 volte in 5 stagioni, festeggiata come una liberazione tra un sorriso ed un sospiro di sollievo.
E il bambino? Ormai è cresciuto, vede il calcio in maniera diversa ed ha capito tutto: le parole di papà, le sublimi qualità di Rui Costa e la sua disarmante intelligenza sul terreno di gioco. Salutando, con un velo di malinconia, l'addio al calcio di un fuoriclasse unico, pronto a chiudere la carriera al Da Luz e riportato a casa, in volo, dall'aquila Victória. 45 anni oggi, un pensiero ed uno sguardo alla statua raffigurante colui che diede inizio a tutto ciò che Rui Manuel César Costa è diventato: fiducia, maglia número Dez ereditata e compagna di vita, Benfica nel cuore. Senza mai dimenticare una sinfonia composta da 12, splendidi anni italiani. Felicidades, Maestro.