In collaborazione con RedBull.com
L’ambizione di chi vola sulle ali dell’entusiasmo di un progetto affascinante: il capitano del Venezia
Da sempre per rappresentare il coraggio si usa il simbolo del leone. Oltre alla criniera quello di Venezia vanta anche un paio di ali in grado di sostenere il peso delle proprie ambizioni: da sempre per lui i limiti non esistono. Un po’ come per quei calciatori che per amore del pallone accettano nuove sfide, dimenticandosi della categoria e della carta d’identità. Una scelta fatta nell’estate 2016 e quella domanda, posta sempre lo scorso anno, a cui l’unica risposta alla fine è stata il campo: “E se smetto, che farò dopo?”.
Tutta l'energia da mettere in campo
Troppe 20 stagioni da professionista per dire basta senza cedere al fascino di una nuova sfida. Ecco come (e perché) per Maurizio Domizzi quel sì alla Lega Pro è stato forse più facile del previsto. Una decisione ponderata. Serenissima: «Quello che cercavo». Scendendo dalla Serie A è approdato al Venezia con il suo bagaglio d’esperienza, con il coraggio di chi vuole sposare una causa e un progetto affascinante volando tra le intemperie delle categorie minori, per raggiungere i cieli della Serie A. Come un Leone Alato, simbolo di quella Venezia del calcio che vuole tornare tra i grandi. Insomma, un biglietto andata-ritorno che Domizzi ha preso per tornare lì, dove ha trascorso la maggior parte della carriera.
Avere un focus sull'obiettivo
Il presente dice Serie B, seconda difesa meno battuta del campionato. Domizzi ne fa parte, ma con licenza anche di segnare: il gol di testa contro la Ternana ha consegnato tre punti importantissimi ai suoi e ne è la dimostrazione. Uno che le reti le ha spesso cercate e realizzate, dalle punizioni à la Mihajlovic e Materazzi - mancini come lui - ai rigori. Peccato che adesso dagli undici metri Inzaghi abbia imposto altre gerarchie. Già, Pippo. Da avversario ad allenatore di Domizzi che in più occasioni ha ricordato quanto lo faceva penare in marcatura. E chissà se quando si sono rincontrati sulla Laguna avranno ripensato a quel Napoli-Milan del maggio 2008 in cui a vestire i panni dell’uomo-gol fu proprio Domizzi su calcio di rigore. Quando nella difesa a 3 di Reja aveva accanto Cannavaro e Contini, mentre Inzaghi era - più che la punta - il puntale dell’albero di Natale di Ancelotti con alle spalle la coppia Seedorf-Kakà. Altri tempi. Altri ruoli, ma non per Domizzi.
Mente e corpo sul campo di gioco
Tanti tatuaggi, ricordi in azzurro (partenopeo) e in bianconero, binomio cromatico che rimanda alle stagioni trascorse all’Udinese. Quei tifosi non l’hanno dimenticato, basta vedere come sugli spalti della Dacia Arena (e anche in trasferta) compaia sempre qualcuno che indossa ancora la sua maglia numero 6. Rigorosamente al contrario, per mostrare il nome. Vanto di un passato che non si dimentica: oltre 200 presenze e una parentesi condivisa con Di Natale, proprio lui che a Domizzi ha mandato un messaggino di complimenti per l’inizio di questa avventura al Venezia. La sua nuova casa, sulla Laguna e nella città del Carnevale, in cui si lavora e si sogna senza maschere, puntando a un atterraggio in Serie A. D’altronde, il coraggio c’è. Le ali pure.