“Questo non è il calcio che sognavamo da bambini. Io poi non sono più un giovanotto e riesco a ragionare in un certo modo, ma mettevi nei panni di un ragazzino che dalla mattina alla sera si vede buttar fuori da ristoranti e hotel perché la società non paga più…”. Delusione, amarezza, rammarico c’è tutto nella lucidissima analisi di Armando Perno sull’inferno (nel senso più triste che si può attribuire a termine siffatto) che hanno vissuto e stanno vivendo i giocatori della Maceratese, tra stipendi non pagati, viaggi in corriera e solidarietà dei tifosi, senza la quale la squadra non sarebbe riuscita nemmeno a portare a termine il campionato. La salvezza con due giornate di anticipo e con quattro punti di penalizzazione. L’affetto della gente. Solo questo si salva, insieme alla compattezza di un gruppo che non ha mai smesso di lottare e di crederci. Il resto è da buttar via, anzi no. Il resto deve insegnare, deve essere un messaggio forte: all’opinione pubblica, alle persone tutte, a chi ama davvero il calcio. Perché certe situazioni non dovrebbero più ripetersi. Fintanto che rimarranno nell’alveo della mera retorica nulla si risolverà. Oggi alla Maceratese, domani?
Ci mette la faccia, Perna, da buon leader. Dentro e fuori dal campo. Racconta, si sfoga perché questo non è calcio. Non è niente. E’ un prosimetro di prese in giro che persone, esseri umani, padri di famiglia subiscono da mesi. “Con l’ingresso in società di Spalletta a novembre sembrava tutto apposto. Un mese dopo sono cominciati i primi problemi, che poi piano piano si sono trasformati in un inferno vero e proprio. A inizio gennaio ci arrivano le prime voci di fornitori e alberghi non pagati. Siamo andati a cercare più volte il presidente in azienda per dei chiarimenti, non abbiamo mai trovato nessuno. A me, così come ad altri ragazzi, a gennaio ci sono arrivati delle offerte. I dirigenti mi fanno… ‘Tu sei incedibile, vedrai che costruiremo una bella squadra’. Parole al vento, mi hanno addirittura rinnovato il contratto. Aspettiamo un po’ di giorni, la scadenza del 15 febbraio per il pagamento degli stipendi. Niente, non si vede nessuno. Finalmente abbiamo la possibilità di parlare con Spalletta, il quale ci dice che entro un mese avrebbe saldato tutto perché gli sarebbero arrivati dei soldi dall’America. Belle promesse, belle parole. Arriva marzo, nessuno vede mezzo centesimo”.
Ma la squadra è forte. Riesce ad isolarsi dal resto, da tutte le difficoltà. Gioca, vince, si avvicina addirittura alla zona playoff. Intorno a loro il vuoto, l’oblio. Calciatori, ragazzini abbandonati a se stessi. “In tutta la mia carriera - racconta Perna ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – non ho mai visto una cosa simile. Trasferte pagate dai tifosi, steward che non volevano aprire lo stadio perché non avevano preso una lira, ragazzini sbattuti fuori da hotel e ristoranti. Ma l’apice è stato toccato quando un mio compagno di squadra, Rocco Sabato è stato aggredito, colpito con un pugno dal presidente perché era andato a chieder dei chiarimenti. E lui? Gli ha sbattuto la porta in faccia! Quest’anno abbiamo fatto un miracolo, a salvarci e soprattutto a portar a termine la stagione. Senza l’aiuto dei tifosi, degli Amici della Rata non so dove saremmo andati a finire e sinceramente mi inquieto anche solo a pensarci. Siamo stati bravi a fare gruppo tra noi, non solo in campo, dando una mano ai ragazzi più giovani: li portiamo a cena, li ospitiamo a dormire”.
Colpisce la lucidità di sintesi, il non piangersi addosso. L’atteggiamento giusto per superare ogni difficoltà. Colpisce tutto il resto perché non è calcio, non è sport, non è niente. E’ disillusione per un ragazzino che si approccia al mondo del pallone per la prima volta, è frustrazione per chi varca i campi di calcio da una vita, è umiliazione per tutti. E’, anzi deve essere, spunto di riflessione. “Il calcio è la cosa più bella della mia vita, quella che mi fa svegliare felice tutte le mattine. A volte mi chiedo se ci meritiamo tutto questo. Bugie, prese in giro di tutti i colori. Dicevano che ci avevano pagato i contributi, dicevano. La trasferta di Forlì è stata organizzata il giovedì per il sabato, siamo andati lì con tre pulmini e in un albergo che definire minimal è un eufemismo. Domenica siamo andati a giocare a Santarcangelo di Romagna con la corriera adriatica, quelle di una volta con i sedili belli dritti che non riesci manco a muovere la schiena. E all’ingresso l’apparecchio per obliterare i biglietti. Non è il calcio che sognavamo da bambini, non mi viene da aggiungere altro”.
Il futuro, poi, è tutt’altro che roseo. Prova a guardare avanti, Perna. Ha l’obbligo di farlo, perché un leader in ogni caso deve dare l’esempio… “Ci mancano gli stipendi di novembre, dicembre, febbraio, marzo, aprile e così via, vediamo. Magazzinieri e fisioterapisti non sono stati mai pagati. Speriamo che domenica finisca questo inferno e basta”. Un inferno con in mezzo tanti punti interrogativi… “Non ci pagano gli stipendi però pagano l’iscrizione al Torneo di Viareggio. Lasciano, oltretutto, a casa 8/10 calciatori per prenderne altri da fuori. No, ma non son facili deduzioni, è proprio la realtà dei fatti”.
Pagina triste, brutta, sbiadita. Totalmente antitetica rispetto a ciò che il calcio dovrebbe essere e soprattutto trasmettere. Difficile commentare, i fatti parlano, anzi urlano, da soli. L’auspicio, tuttavia, deve essere soltanto uno… “Che quello che è successo quest’anno a Macerata possa essere da esempio affinché in futuro non si ripetano più situazioni del genere”.