La passione per la Lazio, la Juventus, il Sassuolo: Federico Peluso si racconta. Nella carriera del terzino romano, oltre 3 presenze in Nazionale, ci sono anche due scudetti, vinti in bianconero, che rappresentano il momento più felice della sua carriera. "Sì, ho ricordi bellissimi" - si legge nelle pagine de La Gazzetta dello Sport - "Con la Juve ho vinto due scudetti e un Supercoppa, ho giocato la Champions, ho conosciuto grandi campioni. Certo, ho un po’ “subito” quella maglia. Avrei voluto avere più consapevolezza dei miei mezzi. Con la testa di adesso forse sarebbe stato un rapporto più lungo". Lo spogliatoio? Come al bar con gli amici: "Lo spogliatoio è il luogo dove noi calciatori cresciamo, ci raccontiamo tutto, ascoltiamo le storie e i consigli dei più grandi. Certo, come succede anche nei bar, si parla anche di donne e automobili, ma non solo di quello. Discutiamo di ogni cosa. D’altronde, da quando abbiamo 6 anni ci passiamo praticamente ogni giorno della vita".
Festa del papà? Quello di Peluso ha meriti particolari: "Sono figlio di due genitori separati, ma la mia vita è stata molto più normale. Non mi è mai mancata né la figura materna né quella paterna. Anzi, mio padre Francesco mi ha aiutato molto, vedendo in me qualità che io in certi momenti non vedevo. Devo a lui il fatto di non aver ceduto allo sconforto. Avevo 16 anni e quando la Lazio mi lasciò andare dopo 9 stagioni, pensavo che finissero tutte le grandi speranze, appunto. Invece ebbi la forza di andare lontano da casa, a Vercelli. Papà a quel punto, vista la distanza, si trasformò in una Voce e io crebbi. Di quegli anni è rimasto il tifo laziale di casa. Avevo il mito di Nesta e ho vissuto da vicino il periodo di Cragnotti. Una volta, quando ero all’AlbinoLeffe, sono stato vicino a tornarci, ma proprio per la voglia che avevo commisi l’errore di andare nella sede del calcio mercato. Il d.s. dell’epoca mi spiegò che così non si faceva, bisognava lasciar lavorare il procuratore. Fu controproducente, ma andò così".
L'evoluzione del giovane calciatore: "Adesso i giovani sono diversi, i social hanno cambiato le dinamiche. Una volta forse c’era troppa soggezione per gli anziani, ora forse troppo poca. E poi ci sono più disponibilità economiche, così ogni calciatore è diventato un po’ una piccola azienda che pensa innanzitutto ai propri interessi. Tanti genitori, poi, spingono più del dovuto perché vedono nei figli un ascensore sociale o, quantomeno, un modo per fare cose che a loro non sono riusciti. Ed è un vero problema. Donne? Il fisico ci aiuta e abbiamo disponibilità economica, perciò sarei un’ipocrita se dicessi che per un calciatore è difficile avere compagnia. Ma anche qui lo spogliatoio aiuta. È successo diverse volte che i compagni abbiano “salvato” qualcuno da una ragazza facile che cercava di accalappiarlo, magari dopo essere stata anche con altri compagni di squadra. Certo, sono argomenti delicati".
L'episodio più brutto in carriera: "Be’, l’autogol che feci in quell’Atalanta-Bologna del 2010 non lo posso dimenticare. Giocavo in nerazzurro e con quell’errore feci finire un campionato perché noi nerazzurri fummo in pratica condannati alla retrocessione, il Bologna si salvò e la Lazio non fu più costretta a fare risultato per evitare la B. Un errore così però ti tempra. Certo, ricevetti ringraziamenti ironici dai tifosi avversari, ma l’anno dopo partii con una grande carica addosso. D’altronde, solo toccando il fondo si può ripartire". Complimenti speciali: "Direi che Buffon è la prima firma del calcio italiano e Conte il miglior direttore:si siano meritati questi riconoscimenti. Podio serie A? Juve, Napoli e Roma". Consigli per Berardi e Pellegrini: "Calcisticamente sono pronti, ma per diventare campioni occorre esserlo a 360 gradi. Direi loro di decidere col cuore e non con la testa. Ma di una cosa sono certo: non sarei sorpreso se presto vedessi tanti miei compagni del Sassuolo andare in Nazionale. Sono forti e finalmente per i giovani italiani sta cambiando il vento".