Primi sei mesi di Roma, tempo di bilancio. Può ritenersi soddisfatto, Monchi. Vietato però sentirsi già appagati: c’è ancora bisogno di lavorare. Ai microfoni de La Gazzetta dello Sport, il ds giallorosso è tornato a parlare del suo arrivo nella Capitale: “Quando ho comunicato ad amici e familiari che potevo venire qui la prima cosa che mi hanno detto è "Ma sei pazzo?". No, non lo sono. Ho scelto Roma perché sentivo, e questi primi 6 mesi mi hanno dato ragione, che qui potevo essere Monchi. Sono un d.s. che ama star vicino a giocatori e tecnico, il contatto aiuta a conoscere le persone”. Con Di Francesco, un rapporto speciale: “Entro continuamente nel suo ufficio, non è che ci diamo appuntamento per parlare. Ci sono persone che non riesci mai a inquadrare, e altre che capisci subito. Eusebio fa parte della seconda categoria: è uno che non si nasconde mai. Non mi ha mai venduto cose che non mi poteva dare. Sottolineo tre qualità: la conoscenza della Roma, l' intensità nel lavoro, lo sguardo sempre dritto negli occhi. Se deve dire una cosa negativa a un giocatore la dice, ma sempre nel modo giusto”.
E c’è Totti. Con Monchi che non può non essere sorpreso dello stretto legame creato con l’ex numero 10 della Roma: “Con lui ho un rapporto che all' inizio non avrei mai immaginato potesse essere così stretto, soprattutto considerando che non sono venuto a regalargli una macchina ma a dirgli "arrivederci e grazie". Poteva succedere di tutto, è andata benissimo. E ha fatto più lui di me. Dall' 1 al 10 alla nostra relazione do un 11. Ho trovato una persona vicina, affettuosa. Dopo 27 anni sulla stessa strada non è facile cambiarla. Il club è stato intelligente nel dargli spazio e tempo necessari. Totti poteva impuntarsi, invece ha capito e accettato”.
Altro che chiacchiere, Monchi vuole regalare un trofeo ai tifosi: “Io sono qui per vincere, non voglio vendere fumo”. Magari lo scudetto: “Perché non si può parlare di scudetto? Non siamo i favoriti, ma abbiamo il dovere di provarci. Siamo partiti in svantaggio ma pian piano stiamo arrivando al livello di Napoli, Juve e Inter. Siamo in costruzione, ma alla fine dell' opera l' edificio sarà bello”. Immancabile un commento sui nuovi acquisti. Oltre a Kolarov, infatti, gli altri faticano ad imporsi: “I bilanci si fanno alla fine. Se lo avessimo fatto dopo i primi 6 o 12 mesi di Dani Alves al Siviglia mi avrebbero buttato nel Guadalquivir. Noi abbiamo preso 8 giocatori: sono contento al 100%? No. Ho fiducia? Sì. Schick? Volevamo un esterno mancino per sostituire Salah. Abbiamo puntato tutto su Mahrez, che non è venuto perché non lo volevano vendere. Non era una scusa mia, hanno detto no anche al Barcellona. Rinunciare a Schick per mere questioni tattiche sarebbe stato un errore. Un d.s. deve essere a metà tra tecnico e club”. Con una chiusura che sa di tattica: “Il calciomercato di gennaio? Non faremo niente…”.
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