Il passato è passato, nel bene e nel male: niente resta per sempre uguale. E meno male! Sai che noia? Se suoni in Calle Altamirano 'tres' un Pablo lo trovi ancora, proprio come due anni fa. Ma di cognome fa Herrera e quando parla si mangia il finale delle parole. "Di dove sei? La(s) Palma(s)!" Gran Canaria, stessa zona di Jesé Rodriguez. Ma lui da piccolino giocava a calcetto con Icardi: "Fisicamente impressionante" il ricordo più nitido. Il Lopez di Melilla se n'è andato a Malaga tra lavoro, sol y mar. Beato, aggiungo io. "Ma l'altro coinquilino Jorge, dov'è?". Ha lasciato pure lui ma non come il Marco della Pausini: questo qualche volta torna, questione di amicizie e sfizi (vizi) capitali. E se penso a quando mi aveva giurato scettico 'no con Charlotte non ci vado a vivere perché ho bisogno dei miei spazi' sorrido tanto tanto: due anni d'amore sono bastati per andare a convivere a Malaga, una promessa sulla riva del mare. Al suo posto ora c'è una ragazza: Sara. Di San Sebastian - che parla un basco che sembra un mix tra tedesco e croato - e della Real. "Ti piace il calcio?" è stata la mia prima domanda, da malato monotematico. Lei mi sfodera l'aneddoto inaspettato: "Mi vedevo la grande squadra di Nihat. Frequentavo anche la stessa piscina di Xabi Alonso, conosco suo fratello!". Bene, benissimo. "Intervista?". Lei ride. Io scherzo... anzi fingo di farlo. Non mi conosce ancora.
Calle Altamirano 'tres', Madrid. Alzo la testa e guardo il cielo azzurrissimo (e bellissimo! Forse perché è una città sull'altopiano 'Meseta') della Capital. Vedo nuvole in viaggio che hanno la forma delle cose che cambiano. Apprezzo il Calderón ma già distinguo il nuovo impianto della 'Peineta' pronto tra un anno: fermata 'Estadio Olímpico' della metro. Non avvisto né il Metropolis né il Banco de España, entrambi coperti da teloni belli spessi, in fase di ristrutturazione. Riconosco i mille colori del Mercado de San Miguel, scorgo il tramonto dal Debod, solo per veri innamorati. Trovo un Real leggermente invecchiato, con qualche ruga in più dell'ultima volta: ora sono 114 gli anni sul groppone. Riconosco la mia prima al Bernabeu da spettatore, un Real-Juve 2-1 con doppio Ronaldo. 23 ottobre 2013. Che è diventato un ottavo di Champions contro la Roma dalla sala stampa ultra moderna del teatro madridista: 8 marzo 2016. Risultato finale molto simile, un marcatore costante (Cristiano), le medesime vibrazioni: emozioni che non voleranno via nemmeno con le vampate di freddo (fortissime) che arrivano dalla Sierra madrileña.
Mi butto, mi getto tra le braccia del vento. Mi viene coraggio: una domanda a Sergio Ramos, scambio di opinioni "en directo" con una radio spagnola. Si parla di Totti, l'argomento del mese: "Un tributo (del Bernabeu) che fa già parte della storia del calcio" altro che passato. Mi diverto. Mi stupisco quando in zona mista conosco Livio, ragazzo di Catania che scrive e racconta di Roma. "Ma vivo a Madrid e lavoro in un ostello". Vitto e alloggio pagato, la passione per il giornalismo decisamente meno. Ma lui si è buttato quella volta, senza pensarci troppo: "Ho fatto la valigia e sono partito, volevo dare una svolta alla mia vita: libertà e indipendenza". Fare paga sempre. E la felicità che colgo nei suoi occhi è la prova decisiva che inchioda.
Faccio file di files e poi le archivio nel disco per ripartire: destinazione Italia. Non li riaprirò mai. Al massimo una sbirciatina nei momenti più nostalgici. Ma il passato è passato nel bene e nel male e niente resta per sempre nel tempo, uguale. E meno male. Anche se quella vita da erasmus...