Milinkovic-Savic parla serbo ma un po’ di spagnolo lo conosce di sicuro. Soprattutto perché per qualche tempo ha vissuto lì, a Lleida, in Catalogna. La madre giocava a basket, il padre a calcio, a lui è toccato scegliere. Destino fortunato. Il più delle volte è un terno a lotto: toglie, dà, restituisce. Una ruota che gira. E intorno alla testa, ai colpi di testa, ai cali. Soprattutto nella testa. Milinkovic-Savic, probabilmente, capirà un po’ di spagnolo e conoscerà i versi di Pablo Neruda, poeta cileno. La lingua è quella. I concetti applicabili nella modernità. Perché Neruda scrisse più o meno così: “Nascere non basta. E’ per rinascere che siamo nati. Ogni giorno”. Quindi:“renacimiento”. Una parola chiave.
Ciò che ha fatto la Lazio dopo i 4 gol di Salisburgo, a testa bassa, quando la parola “fallimento” era un pensiero ricorrente. Ciò che fatto stasera, contro il Torino, dopo l'infortunio di Immobile (stiramento) e il rigore fallito dal Luis Alberto. Non da lui. L’ombra dello smacco, il pensiero di non farcela. Il fallimento. Non per Inzaghi. O la Lazio. Che invece hanno fatto proprie le parole di Neruda traducendole in reazioni. Milinkovic scaccia i fantasmi e lo fa di testa, saltando più in alto di tutti, più alto di tutti, come faceva la madre anni fa giocando a basket. 13 reti in stagione, 11 in Serie A, un valore crescente di cui si parlerà. Non oggi. Rinascere. I biancocelesti l’hanno fatto varie volte, ogni giorno, in ogni partita. Esempi sparsi: tre giorni dopo Salisburgo, nel derby di Roma, contro gli eroi della rimonta al Barcellona. Un pareggio (0-0). Il mercoledì contro la Viola, al Franchi. Successo in rimonta partendo da 3-2. Infine all’Olimpico contro la Samp, tra l’altro in goleada (4-0). Una gara perfetta. Stavolta, al Grande Torino contro il Toro, la Lazio vince 1-0 e va a +4 sull’Inter. Quarto posto, la Champions League sempre più vicina. Manca da 10 anni. Troppi. Die meister, die besten, les grandes equipes. Motivetti da rispolverare. La Lazio oggi parla spagnolo, traduce Milinkovic.