- "Ciao Elías, va' a cambiarti che la cena è pronta. Cos'è quella faccia, stai bene?"
- "Sì mamma, tutto ok, solo che oggi mi sono stancato subito e non mi sono allenato bene. Mi sentivo senza energie, molle..."
- "Sarà un po' di stanchezza, stasera a letto presto e domani andrà meglio".
Forse sarà andata così, forse è proprio dopo un allenamento che sentì a sentire troppa stanchezza. E invece no, non era stanchezza. Era la leucemia, diagnosticata a Elías Pereyra un mattino del 2012. Aveva 13 anni e giocava come laterale sinistro con i ragazzini classe '99 del San Lorenzo, in Argentina. Leucemia, una parola che possiede molti significati ma che per Elías in quel momento voleva semplicemente dire: "Mamma, papà... anche se sono malato, qualche volta potrò giocare a pallone?". Piano piano Elías si rese conto che leucemia significava anche chemioterapia, due volte a settimana dalle tre alle cinque ore; ospedale, stanchezza (stavolta sì, quella vera); ma anche quell'amico trovato in reparto, anche lui malato: non potevano correre, né affaticarsi troppo. Ma un tiro a pallone, in cortile, potevano farlo. No, senza la palla non ce l'avrebbe fatta. E forse senza neanche il sostegno morale ed economico del San Lorenzo, che durante la malattia di Elías lanciò una raccolta fondi e non fece mancare l'appoggio a questo ragazzino. Con tanto di visita dell'idolo e leggenda Leandro Romagnoli in ospedale: maglia firmata, quell'abbraccio che Elías si porta dentro. "La maglia è appesa a casa, non me la tocca nessuno".
Dio o forse il destino o qualunque cosa in cui crediate, sanno riconoscere i propri giocatori vincenti. E lui era destinato a vincere quella partita: così la malattia venne tenuta sotto controllo e sconfitta. Cinque anni dopo, abbracci e lacrime non sono più un segno della tristezza, ma immagine della gioia. Elías Pereyra ha firmato il suo primo contratto da professionista, con il club che non lo ha mai abbandonato. Il San Lorenzo, il club del cuore di Papa Francesco. E' un lieto fine che è anche un lieto inizio, è la conclusione di un percorso che segna l'inizio di una strada. "Ora voglio giocare la prima partita da professionista e vincere con questa maglia". Ci arriverai, Elías. Come sei arrivato al momento della firma, culmine di un 2017 pieno di soddisfazioni. Di regali meritati. Come la prima convocazione in nazionale under 20 argentina, con quella amichevole giocata contro la squadra di Sampaoli e... con Leo Messi di fronte. "Il più forte di tutti, volevo abbracciarlo. E alla fine abbiamo fatto una foto". Semplice, ma bellissimo, se visto con gli occhi di Elías. La cui tempra è ereditaria: viene da una famiglia che ne ha viste di tutti i colori. I problemi con la droga dei suoi genitori, superati "perché altrimenti non ci sarebbe stata via d'uscita"; il carcere vissuto da una delle sue sorelle, che adesso però studia legge; la depressione che ha colpito l'altra sorella dopo la perdita del marito, superata per dedicarsi ai bambini. Ogni persona è una storia, ogni persona può sceglierne il finale e da quello ripartire. "Dopo tutto questo, potrò mai sentire la pressione per una partita?", si chiede Elías. E sa già la risposta.