“La Juve, Conte, Chiellini e i malintesi”: tutta la verità di De Ceglie
Otto trofei con la Juventus, ora De Ceglie aspetta l’occasione giusta: “Che rabbia a Parma. Con Molinaro e Camoranesi era un trio… musicale”. La nostra intervista esclusiva
Mettersi in contatto
con lui non è semplice. Chiamata transoceanica: all’altro capo del
telefono si parla da Miami. Vacanza? Proprio no. “Si tratta di
aggiornamento”, tiene subito a precisare Paolo De Ceglie. 32 anni,
una carriera felice alle spalle e un presente disilluso. Per ora in
attesa. Lui non ne fa un dramma: dopo sei mesi positivi in Svizzera, nel Servette, preferisce aspettare che arrivi la
proposta giusta. Di certo, “voglio continuare a giocare” racconta
in esclusiva a Gianlucadimarzio.com.
In effetti qualcuno
di recente si era chiesto che fine avesse fatto. Anche perché nella
Juve post Calciopoli lui, prodotto del vivaio bianconero, non è
stato proprio di passaggio. Giovanissimo, è stato lanciato da
Deschamps nell’anno di Purgatorio in Serie B; poi, un anno al
Siena, prima di tornare alla base e restarci per cinque anni e mezzo,
fino al gennaio 2014. 100 partite e due gol non sono certo poca roba.
“La Juve è stata tutto per me, tutto” ci ripete a più riprese.
“Mi ha permesso di realizzare i miei sogni, di vincere tanti trofei
(quattro Scudetti e tre Supercoppe oltre a una Coppa Italia, ndr).
Resterà per sempre un legame con questa maglia e con questo club”.
“PARMA: UN FALLIMENTO CHE BRUCIA. CON CONTE UN RAPPORTO SPECIALE”
E non importa che
l’addio non sia stato dei migliori. Quella è una pagina che non
conta: “È andata così, non voglio nemmeno parlarne. Quell’anno
non me n’è andata bene una ma ora ho tanta voglia di ripartire”.
Un po’ come fece il Parma dopo il fallimento di Ghirardi. De
Ceglie, in quell’annata maledetta, giocò qualche mese prima di
rientrare alla base. Segnò due gol all’Inter di Mazzarri, che
portarono alla prima vittoria stagionale: “Me li ricordo ancora”,
racconta, “come tutti quei mesi. Li ho patiti meno di altri perché
ero in prestito, ma mi ero arrabbiato molto perché quello era un
gruppo di bravissimi ragazzi che ci hanno rimesso ingiustamente. È
stato un vero peccato per il calcio e per il Parma, un club che
merita ogni fortuna. Sono molto contento di quello che hanno fatto
dopo il fallimento, meritano questo palcoscenico. Vincere tre
campionati di fila è un’impresa non da poco”.
D’altra parte De
Ceglie questo lo sa bene, dopo averlo vissuto in prima persona con la
maglia della Juventus. Una rinascita che porta il volto di una
persona precisa: Antonio Conte. “Non è stato un allenatore per me.
È stato il mio allenatore. Punto. Certo, ce ne sono anche molti
altri, ma se devo ricordarne uno dico lui, per tutto quello che mi ha
permesso di fare. È un vincente, un insegnante di calcio”. Grazie
a lui è arrivato il primo Scudetto della nuova era (stagione
2011/2012): “Il più bello della mia carriera, il coronamento di un
sogno”.
È felice quando
parla di questo. Un’eco lontana del calcio che lo ha reso grande.
Ma adesso è diverso, è più maturo e vuole evitare banalità o
luoghi comuni. Come per esempio associare a Conte la figura di un
padre: “No, non lo dico. Perché non lo penso. Era il mio
allenatore e con lui avevo un ottimo rapporto, facilitato dalle
vittorie conseguite. Il calcio è sempre condizionato dai risultati e
quando condividi dei bei momenti diventa tutto più semplice”.
“CHIELLINI L’AMICO CHE TI ASPETTI. MOLINARO, CAMORANESI E LA BAND IMPROVVISATA”
Niente padre,
quindi. E nessun fratello nello spogliatoio. Ma un grande amico sì:
“È Giorgio (Chiellini, lo chiama sempre per nome, ndr). Abbiamo
condiviso tante volte la camera insieme, mi è stato molto vicino. È
un grande giocatore ma soprattutto un grandissimo uomo: non a caso è
capitano di Juve e Nazionale”. Quella Nazionale che lui ha solo
sfiorato nel 2012: “È forse la mia più grande delusione da
calciatore. Prandelli aveva pensato a me dopo aver fatto bene in
Under 21 e alle Olimpiadi, non ci sono andato per colpa di un
infortunio” dice.
Un velo di rammarico
si percepisce dalla sua voce. Ma di nuovo non vuole farsi tradire
dalle emozioni. Però sorride quando gli viene chiesta della sua
passione per la musica. “Suono la chitarra da una vita” ammette.
“Nella Juve io, Molinaro e Camoranesi abbiamo suonato anche in
gruppo per qualche volta. Christian pure suonava la chitarra, Mauro
era al basso”. Ma non vuole che sembri nulla di straordinario.
“Anzi, purtroppo qualche volta ha creato delle polemiche che non mi
aspettavo. Come se non mi allenassi per impiegare il tempo in questo.
Nel 2013 avevo anche realizzato un cd con alcuni amici per
beneficenza: lo scopo venne completamente travisato. L’ho sempre
fatto per passione” ma non è stato capito.
Ed è forse questo
che rimprovera al calcio: gli ha dato tanto, non sempre nel modo
corretto. Il De Ceglie spensierato dei primi anni ha lasciato il
posto a quello più concreto. Che solo a tratti appare distaccato.
“Cerco sempre di dare una mano a chi me lo chiede. In questi mesi
mi sto allenando nella mia squadra dilettantistica: il Centro Giovani
Calciatori Aosta. Mi dedico a questi ragazzi che conosco da quando
sono bambini per aiutare a crescerli in questo mondo così strano”.
Questo è il presente di De Ceglie, quella la sua storia. Ripartendo
dal basso per tornare in alto.