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Data: 18/12/2018 -

"La Juve, Conte, Chiellini e i malintesi": tutta la verità di De Ceglie

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Otto trofei con la Juventus, ora De Ceglie aspetta l'occasione giusta: "Che rabbia a Parma. Con Molinaro e Camoranesi era un trio... musicale". La nostra intervista esclusiva
Otto trofei con la Juventus, ora De Ceglie aspetta l'occasione giusta: "Che rabbia a Parma. Con Molinaro e Camoranesi era un trio... musicale". La nostra intervista esclusiva

Mettersi in contatto con lui non è semplice. Chiamata transoceanica: all’altro capo del telefono si parla da Miami. Vacanza? Proprio no. “Si tratta di aggiornamento”, tiene subito a precisare Paolo De Ceglie. 32 anni, una carriera felice alle spalle e un presente disilluso. Per ora in attesa. Lui non ne fa un dramma: dopo sei mesi positivi in Svizzera, nel Servette, preferisce aspettare che arrivi la proposta giusta. Di certo, “voglio continuare a giocare” racconta in esclusiva a Gianlucadimarzio.com.

In effetti qualcuno di recente si era chiesto che fine avesse fatto. Anche perché nella Juve post Calciopoli lui, prodotto del vivaio bianconero, non è stato proprio di passaggio. Giovanissimo, è stato lanciato da Deschamps nell’anno di Purgatorio in Serie B; poi, un anno al Siena, prima di tornare alla base e restarci per cinque anni e mezzo, fino al gennaio 2014. 100 partite e due gol non sono certo poca roba. “La Juve è stata tutto per me, tutto” ci ripete a più riprese. “Mi ha permesso di realizzare i miei sogni, di vincere tanti trofei (quattro Scudetti e tre Supercoppe oltre a una Coppa Italia, ndr). Resterà per sempre un legame con questa maglia e con questo club”.

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E non importa che l’addio non sia stato dei migliori. Quella è una pagina che non conta: “È andata così, non voglio nemmeno parlarne. Quell’anno non me n’è andata bene una ma ora ho tanta voglia di ripartire”. Un po’ come fece il Parma dopo il fallimento di Ghirardi. De Ceglie, in quell’annata maledetta, giocò qualche mese prima di rientrare alla base. Segnò due gol all’Inter di Mazzarri, che portarono alla prima vittoria stagionale: “Me li ricordo ancora”, racconta, “come tutti quei mesi. Li ho patiti meno di altri perché ero in prestito, ma mi ero arrabbiato molto perché quello era un gruppo di bravissimi ragazzi che ci hanno rimesso ingiustamente. È stato un vero peccato per il calcio e per il Parma, un club che merita ogni fortuna. Sono molto contento di quello che hanno fatto dopo il fallimento, meritano questo palcoscenico. Vincere tre campionati di fila è un’impresa non da poco”.







D’altra parte De Ceglie questo lo sa bene, dopo averlo vissuto in prima persona con la maglia della Juventus. Una rinascita che porta il volto di una persona precisa: Antonio Conte. “Non è stato un allenatore per me. È stato il mio allenatore. Punto. Certo, ce ne sono anche molti altri, ma se devo ricordarne uno dico lui, per tutto quello che mi ha permesso di fare. È un vincente, un insegnante di calcio”. Grazie a lui è arrivato il primo Scudetto della nuova era (stagione 2011/2012): “Il più bello della mia carriera, il coronamento di un sogno”.

È felice quando parla di questo. Un’eco lontana del calcio che lo ha reso grande. Ma adesso è diverso, è più maturo e vuole evitare banalità o luoghi comuni. Come per esempio associare a Conte la figura di un padre: “No, non lo dico. Perché non lo penso. Era il mio allenatore e con lui avevo un ottimo rapporto, facilitato dalle vittorie conseguite. Il calcio è sempre condizionato dai risultati e quando condividi dei bei momenti diventa tutto più semplice”.

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Niente padre, quindi. E nessun fratello nello spogliatoio. Ma un grande amico sì: “È Giorgio (Chiellini, lo chiama sempre per nome, ndr). Abbiamo condiviso tante volte la camera insieme, mi è stato molto vicino. È un grande giocatore ma soprattutto un grandissimo uomo: non a caso è capitano di Juve e Nazionale”. Quella Nazionale che lui ha solo sfiorato nel 2012: “È forse la mia più grande delusione da calciatore. Prandelli aveva pensato a me dopo aver fatto bene in Under 21 e alle Olimpiadi, non ci sono andato per colpa di un infortunio” dice.







Un velo di rammarico si percepisce dalla sua voce. Ma di nuovo non vuole farsi tradire dalle emozioni. Però sorride quando gli viene chiesta della sua passione per la musica. “Suono la chitarra da una vita” ammette. “Nella Juve io, Molinaro e Camoranesi abbiamo suonato anche in gruppo per qualche volta. Christian pure suonava la chitarra, Mauro era al basso”. Ma non vuole che sembri nulla di straordinario. “Anzi, purtroppo qualche volta ha creato delle polemiche che non mi aspettavo. Come se non mi allenassi per impiegare il tempo in questo. Nel 2013 avevo anche realizzato un cd con alcuni amici per beneficenza: lo scopo venne completamente travisato. L’ho sempre fatto per passione” ma non è stato capito.

Ed è forse questo che rimprovera al calcio: gli ha dato tanto, non sempre nel modo corretto. Il De Ceglie spensierato dei primi anni ha lasciato il posto a quello più concreto. Che solo a tratti appare distaccato. “Cerco sempre di dare una mano a chi me lo chiede. In questi mesi mi sto allenando nella mia squadra dilettantistica: il Centro Giovani Calciatori Aosta. Mi dedico a questi ragazzi che conosco da quando sono bambini per aiutare a crescerli in questo mondo così strano”. Questo è il presente di De Ceglie, quella la sua storia. Ripartendo dal basso per tornare in alto.



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