Otra vez, Loco. Ma non perché sia folle. Magari un po’ focoso. Sebastian Abreu spiegò che il soprannome derivava dal suo essere sempre positivo e solare. Doti indispensabili, per avere la voglia di girare il mondo giocando a calcio. Infatti, l’uruguaiano ha nelle scorse ore formalizzato il suo ultimo trasferimento, al Bangu, una delle squadre di Rio de Janeiro ma non di certo la più famosa. I numeri cominciano a farsi davvero impressionanti: questo è il suo 23° club.
La carriera comincia al Defensor, una delle squadre di Montevideo, nel lontano 1995. L’anno dopo vola in Argentina e resta per due stagioni al San Lorenzo. Lì viene notato dal Deportivo La Coruña, che lo porta nella Liga; con la maglia del Depor non gioca molto, perché comincia un incredibile giro di prestiti che dura sei stagioni. In questo lasso di tempo, veste le maglie di Gremio, Tecos, San Lorenzo, Nacional, Cruz Azul, America e ancora Tecos. Torna al Nacional per la stagione 2004/05, l’anno dopo è al Sinaloa. Non si allontana dal Sudamerica, giocando con Monterrey, San Luis, Tigres e River Plate tra il 2006 e il 2008. Breve parentesi al Beitar Gerusalemme, poi il ritorno al River. Quindi, prestito alla Real Sociedad, prima di cambiare totalmente aria e trasferirsi a Salonicco con la maglia dell’Aris. Il decennio in corso di Abreu comincia al Botafogo, nel 2012 viene girato in prestito alla Figueirense. Il meglio lo riserva negli ultimi tre anni: dal 2013 ad oggi gioca con il Nacional, il Rosario Central, l’Aucas, il Sol de America, il Santa Tecla (squadra di El Salvador) e infine il Bangu. In totale, fanno 28 trasferimenti complessivi e nove stati diversi: Uruguay, Argentina, Messico, Spagna, El Salvador, Brasile, Paraguay, Israele e Grecia.
Il tutto alla veneranda età di 40 anni. Globetrotter di calcio come pochi, sicuramente il più famoso, anche se c’è chi ha saputo far meglio, o se vogliamo peggio (qui la storia). Indimenticabile resta quel rigore ai Mondiali del 2010, nella partita più controversa di quella competizione, che vide l’Uruguay trionfare ai rigori col Ghana. Dal dischetto, per il rigore decisivo, andò proprio Abreu, rinomato amante della “panenka”, il nostro cucchiaio. Forlan pregava, sapeva che El Loco avrebbe lasciato il suo marchio anche ad un quarto di finale di un Mondiale. D’altronde, Abreu può ben dirsi un maestro della specialità: per le referenze, chiedere di Djalminha; per il resto, parlano i numeri, che dicono di oltre venti cucchiai eseguiti su rigore, con percentuali minime di errore.
Quello il suo picco sul campo, ma al di fuori sapeva far parlare di sé. Mai stato una bandiera, ma universalmente riconosciuto come tra i giocatori più passionali per i colori rappresentati. Amato da ogni tifoseria. E quando al Botafogo segna un gol ogni due partite, la squadra decide di ringraziarlo, presentando per la stagione seguente la seconda maglia celeste, come quella del suo Uruguay. Che con un tiro dal dischetto, alla sua maniera, aveva portato tra le prime quattro del calcio mondiale.