Chi si accontenta…è perduto! Nel calcio, come nella vita. Basta storpiare un attimo il celeberrimo aforisma per raccontare la sua storia. Una storia fatta di sacrifici, due crociati rotti, il test fallito all’Università di Padova e quel sogno sempre lì, a tormentarlo ogni notte prima di addormentarsi. “Voglio vivere di calcio. Perché il calcio è la mia vita”. Lo ripeteva a se stesso, ma in fondo lo urlava al mondo. Quel mondo che prima gli ha chiuso la porta in faccia, lo ha sbattuto in Eccellenza. E poi, invece, gliel'ha riaperta. Perché nulla finisce mai davvero finché – in qualsiasi modo possibile – crediamo, seppur dentro di noi, ci sia ancora una piccola speranza. Lui è Andrea Nobile, seconda punta classe '91 del Piacenza. 4 gol in 11 partite da gennaio, quando è arrivato dall'Abano. Sorride, è felice. Gli sembra di esser tornato bambino, con quella gioia pura e incontaminata che solo lo splendido sorriso di un fanciullo riesce a trasmettere.
“Tre anni fa, quando ho deciso di ripartire dall’Eccellenza mi davano per finito. Io stesso provavo ogni giorno ad autoconvincermi che per me il calcio sarebbe potuto essere soltanto un hobby. La mattina andavo a lavorare nell’azienda di mio papà che produce tende da sole e strutture per esterni. Poi il pomeriggio mi allenavo, anche da solo, tra freddo e fango. Venivo, oltretutto, da una stagione in D nella quale non avevo preso una lira, da due crociati. Ogni domenica prendevo legnate su legnate visto che andavo il doppio degli altri. La sera, stanco morto, mi fermavo davanti allo specchio: ‘Andrea ma chi te lo fa fare? Smetti di giocare e basta…’. Alla fine, però, determinazione e coraggio premiano sempre”. Tono di voce un po’ malinconico, di che ne ha passate davvero tante. Ma anche la forza di chi non ha smesso mai di credere in se stesso perché nulla può frenare una passione. E se ci provi, oltretutto, finisci soltanto con lo star ancora più male. Poi anche il destino, a volte, riesce ad indirizzare le nostre vite nel modo in cui vogliamo, ma non riusciamo. Lo aspettiamo, talvolta arriva…talaltra no! Ma quando arriva… “Avevo provato – racconta Nobile ai microfoni di GianlucaDiMarzio.com – anche a fare il test di fisioterapia all’Università di Padova. Il risultato, tuttavia, era stato negativo. Onestamente, però, non mi sarei visto sui libri. Piuttosto avrei continuato a lavorare nell’azienda di papà…”.
Che è il suo primo tifoso. Lo segue ovunque, gli è stato vicino nei momenti difficili… ‘Andrea, non smettere mai di crederci’. Il ritornello che accompagnava ogni cena in casa Nobile. A seguire la videocassetta con le giocate di Sheva… “Senza esagerare l’ho vista più di cento volte! Mio padre è tifosissimo del Milan, a casa abbiamo uno scaffale pieno di videocassette con i grandi giocatori rossoneri. Sheva per me è un esempio, un’icona…tutto. Lavorava 23 ore su 24…io sono come lui da questo punto di vista. Tu puoi essere anche un fenomeno, ma se non coltivi quotidianamente il tuo talento non vai da nessuna parte. Io, ad esempio, la velocità l’ho sempre avuta, a scuola mi dicevano che sarei dovuto andare a fare atletica, ma se non avessi lavorato giorno dopo giorno su tanti altri aspetti, probabilmente sarei ancora in Eccellenza”.
La svolta nella fine. Meglio fare un passo indietro, a volte, che due in avanti. E’ nelle difficoltà che si diventa uomini. E’ nelle difficoltà che si acquisisce coraggio e determinazione… “Oggi posso dire tranquillamente che la stagione in Eccellenza è stata un punto di svolta. Perché l’allenatore Tiozzo mi ha cambiato ruolo, spostandomi seconda punta, posizione a me più congeniale per la velocità che ho. E poi perché davvero quello era l’ultimo treno. E quando tocchi il fondo, puoi solo risalire. Se poi ripenso a come è nato tutto…”. Jesolo, tre anni fa, una qualsiasi foto al mare su Facebook… “Io e mio fratello ci facciamo un selfie sulla spiaggia, lui giocava già all’Union Pro, io ero senza squadra. Stiamo lì mezz’ora a decidere chi lo avrebbe dovuto postare. Alla fine lo mette lui, con il suo profilo. Il destino vuole che lo vedono il direttore sportivo e l’allenatore in seconda dell’Union. Poco dopo arriva un messaggio a mio fratello, ‘ma non possiamo chiedere ad Andre se viene a giocare con noi?’. Sono andato, abbiamo vinto il campionato e da lì è cambiato tutto. Pensate se quella foto l’avessi postata io che non li avevo come amici…”.
A gennaio la chiamata del Piacenza, biglietto di sola andata e ‘arrivederci, caro Mogliano Veneto’. Scelta sofferta, ma necessaria… “Ho lasciato tutto, all’Abano ero anche capitano. Ma volevo provare una nuova esperienza, dalla cosa più banale, lo star a casa da solo a quella forse più importante che ad una piazza del genere non puoi dire no. Sono felicissimo, mi trovo alla grande. Con Romero formiamo una bella coppia d’attacco. Lui è il gigante, io Speedy Gonzales come mi chiamava il presidente dell’Union…”.
Corre in campo e a parole. Tipo molto loquace Nobile, tranquillo e riflessivo. Con il calcio sempre in testa, “se la domenica non faccio bene poi sto male per tutta la settimana” e l’amore per Rej, il suo cane… “E’ un bulldog francese bellissimo, l’ho lasciato a Mogliano Veneto a casa dei miei e mi manca da morire. Prima non lo volevano, ora non me lo lasciano più…”.
Sacrificio, corsa e coraggio. Dai viaggi in pulmino dopo scuola fino a Montebelluna (“ero sempre l’ultimo a scendere”) a quell’idea…davvero Nobile che lo ha sempre accompagnato. “Mai fermarsi, mai guardarsi indietro. La vita è un po’ come la gara dei 100 metri”.