Moratti: "Un sogno chiamato Inter. Questa è la mia storia"
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Data: 31/12/2018 -

Moratti: "Un sogno chiamato Inter. Questa è la mia storia"

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La nostra intervista esclusiva all'ex presidente dell'Inter Massimo Moratti: "Da quando decisi di prenderla a quando lasciai. Mourinho, Ronaldo, il triplete, Pirlo... Messi". Moratti si racconta a trecentosessanta gradi
La nostra intervista esclusiva all'ex presidente dell'Inter Massimo Moratti: "Da quando decisi di prenderla a quando lasciai. Mourinho, Ronaldo, il triplete, Pirlo... Messi". Moratti si racconta a trecentosessanta gradi
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“CRITICHE SEMPRE ACCETTATE. IL MIO ADDIO? GIUSTO COSI’”

Con lui, le chiacchiere di calciomercato potevi farle davvero. Così come anche le critiche. “Dal momento che mi piaceva il mio ruolo, non le ho mai patite più di tanto. Leggerle mi dava fastidio, come penso a tutti. Ma è giusto che il tifoso critichi. È sacrosanto e lo sottolineo. Spesso dà spunti di riflessione importanti: l’ho sempre interpretata così. Mi permetteva di ragionare”. Ed è anche per questo che ancora adesso il rapporto con l’ambiente è rimasto “bellissimo”. Ma non ha mai pensato di rientrare? “No” lo dice a chiare lettere. Forse, per proteggere la sua scelta. “Quando decidi di metterti da parte, lo fai con ponderazione: capisci che hai fatto il tuo tempo e che la tua vita da presidente ti ha dato tantissimo. Restare per forza sulla poltrona allora fa sì che davvero le critiche abbiano ragione, perché vorrebbe dire che ti ritieni un intoccabile. È giusto lasciare spazio a chi ha idee diverse e vuole provarci. Thohir è una persona perbene, ha fatto quello che doveva e si è dimostrato capace di trovare una società valida a cui vendere. Zhang è giovanissimo, ha grandi doti imprenditoriali e dimostra buon senso: non è prepotente, ha fiducia nei suoi collaboratori ma poi li valuta. Credo molto nel suo lavoro, non vuole fare la figura del Pierino”.






Parola tipicamente milanese. Che potrebbe usare Berlusconi. Lui nel calcio ci è tornato, “ma penso lo abbia fatto come divertissement, per avere un’emozione domenicale e per fare un piacere a Galliani. Non credo che il Monza possa avvicinarsi al Milan o all’Inter: c’è meno massa intorno alla squadra, meno fatica”. Contro di lui ha combattuto in campo tante battaglie. Una rivalità che ricorda quelle tra i compagni di scuola. “Alla fine tutti i presidenti sono così” commenta. “Se andrei a cena con uno di loro, adesso? Quando esci dal giro, ti chiami fuori. Conosco bene qualcuno: Cairo è giovane e intraprendente. Poi ho un buon rapporto con l’attuale dirigenza del Milan e anche con De Laurentiis, che a volte ha detto qualche battuta poco carina nei miei confronti ma gli è concessa. È proprio come una classe: qualcuno può sembrare antipatico, qualcuno simpatico, ma se li conosci bene vai oltre alle prime impressioni. Parliamo di persone bravissime sul lavoro, mentre il calcio è una palestra di pazzia: ci si lancia in esternazioni che sul piano lavorativo non esisterebbero”.

IL 5 MAGGIO, CALCIOPOLI, LA COPPA UEFA E IL TRIPLETE: 18 ANNI DI MORATTI. E MESSI...

Sorride, perché tutto questo l’ha vissuto in prima persona. Sulla sua pelle. Per 18 anni. “Se devo pensare alla delusione più grossa, quella vera, penso al 5 maggio. Non si può dare la colpa a Gresko: era un terzino in mezzo a tanti campioni. Ero talmente svuotato dal pareggio del primo tempo che nemmeno andai negli spogliatoi. I giocatori erano convinti, per calcoli assurdi, che tanto la Lazio si sarebbe arresa per non fare un piacere alla Roma. Tutte stupidaggini e spero siano state solo quelle” è il suo unico accenno a Calciopoli, una parentesi dolorosa. “Mi ha fatto anche male uscire il primo anno in Coppa Uefa contro il Lugano: ho toccato per la prima volta la realtà del fallimento di un obiettivo, ti fa capire che non tutte le cose sono positive”.

Di certo non come “il Triplete ma anche l’anno della vittoria della Coppa Uefa. È stato un romanzo bellissimo, anche se culminato in campionato con quella tragedia calcistica di Torino (la vittoria per 1-0 della Juve con Del Piero che regalò lo Scudetto ai bianconeri con tante polemiche per alcune decisioni arbitrali, ndr). La squadra era simpatica e i giocatori avrebbero meritato di vincere molto: quella storia di campionato aveva dato un carattere fortissimo a tutti noi. E poi per me erano emozioni nuove: impari molto, non sai se le cose ti serviranno davvero perché il calcio non è mai uguale. Ma accumuli comunque esperienze”.







Con la speranza di rendere orgogliosi tutti. A proposito di orgoglio: sulla sua scrivania si trova un libro dell’Inter Campus (“un progetto che segue mia figlia Carlotta, è una realtà consolidata in tutto il mondo e permette a bambini e bambine anche meno fortunati di crescere con un’educazione di base, partendo dai valori dello sport”), oltre a una foto di lui con suo padre e suo fratello. Quelli che lo spinsero a tifare Inter dall’età di quattro anni. Quelli che forse lo avrebbero spinto a rispondere all’acquisto di Ronaldo (Cristiano) della Juventus. “Non potrei dirlo perché sarebbe antipatico nei confronti di chi c’è ora ma… sì, credo che l’Inter avrebbe dato un segnale. Penso che tutti avremmo avuto l’idea che qualcosa da fare ci fosse, anche perché Ronaldo l’aveva preso proprio la Juve. Non so chi ci fosse in giro, ma almeno un tentativo per Messi l’avremmo fatto: sarebbe stata la rovina economica totale dell’Inter ma non si sa mai… Tra l’altro, loro hanno fatto un’ottima operazione: nessuno se lo aspettava, nessuno nemmeno ne sentiva l’esigenza. Andarlo a prendere è stato un gran bel regalo per i tifosi, proprio come il nostro Ronaldo, ai tempi”.






Eccolo, il tifoso. Che nell’elegante ufficio della Saras, oltre alla scrivania, espone gagliardetti, libri, regali che chi ama l’Inter continua a fargli. “Devo ridistribuirli, sono tantissimi. La vede quell’aquila d’oro? Mi è stata regalata da un nostro fan arabo: è incredibile pensare che anche dall’altra parte del mondo ci sia chi pensa all’Inter”. Di nuovo un sorriso. Garbato. Consapevole dello splendido percorso che, passo dopo passo, si è costruito. Quando era piccolo, Moratti si divertiva a creare le squadre formate dai suoi compagni più che a giocare a pallone. Era Presidente già allora.

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