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Data: 30/03/2018 -

Monchi si racconta: "Ho scelto la Roma per continuare a essere me stesso"

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Dalla Spagna all’Italia, dalla Liga alla Serie A. Monchi lavora alla Roma da un anno e con la squadra giallorossa è pronto a tornare ad affrontare un avversario che, fino allo scorso campionato, poteva osservare da molto vicino. In Champions si gioca contro il Barcellona, dopo 11 anni i giallorossi tornano a competere in un quarto di finale nella più importante competizione europea. Merito anche del lavoro del direttore sportivo giallorosso che intervistato da Fox Sports ha spiegato in una lunga chiacchierata la “Filosofia Monchi”.

"Monchi deriva da Ramon, che è il mio nome. In Spagna è così, come Pepe corrisponde a José e così via - inizia dicendo il ds giallorosso - sono uno che allena il pensiero, leggo libri di storia soprattutto, guardo serie tv sulla storia e molti giornali. Ricordo sempre il primo giorno da direttore sportivo, ricevetti un consiglio dal direttore responsabile del Siviglia: 'Tutte le mattine, leggi la stampa sportiva'. Prima di tutto vado in palestra, alle 7:30, a Trigoria. E’ un allenamento mentale e fisico, butto fuori lo stress. Dopo leggo i giornali, italiani e spagnoli. Circa 35-40 minuti al giorno".

Dalla routine quotidiana alle emozioni vissute nei mesi scorsi: "Il mio addio al Siviglia e quello di Totti alla Roma sono immagini bellissime che tengo sempre nel cuore e nella testa. Sarò sempre riconoscente per l’affetto ricevuto durante gli anni passati lì, sia come giocatore che come ds. E’ stato un giorno incredibile, inimmaginabile. Quel giorno indossavo la maglia di Puerta, era un omaggio semplice ad Antonio. La storia del Siviglia recente nasce da un suo gol contro lo Schalke 04, ma purtroppo non ha potuto vivere il resto. Poi ho dato un bacio al terreno di gioco, il centro nevralgico del campo. Era un gesto simbolico".

"Perché ho scelto la Roma? Avevo la necessità di continuare ad essere Monchi. Arrivai alla conclusione che era ciò che necessitavo. Io mi sento 'speciale' e avevo bisogno di una squadra che aveva bisogno non solo di un ds, ma di una persona. Nel mio lavoro, la persona è importante come il ds. Mantengo sempre una teoria che non so se sia giusta o sbagliata. Non possiamo dimenticarci che un calciatore è un calciatore e una persona. Il giocatore difficilmente dimentica di giocare a calcio, se ha qualità quella rimane. Alcune volte dimentichiamo che il rendimento del giocatore non ha nulla a che vedere con il giocatore, ma con la persona che sta dietro al giocatore. Pertanto dobbiamo provare a conoscere, più rapidamente possibile, questa persona per approfondirla sotto tutti i punti di vista, informandoci direttamente sul giocatore e su quello che gli sta intorno, come la famiglia. Perché se arriviamo alla persona e siamo capaci di porla in uno stato di felicità, il giocatore giocherà meglio".

E ancora: "La virtù della società e della squadra deve essere quella di accorciare i tempi di inserimento e adattamento. Fortunato quando Rakitic trovò una fidanzata andalusa? Questo rientra nel fattore fortuna che anch’esso esiste.... Una volta ho interrotto un provino con il Real Madrid per giocare una gara con il mio club, il San Fernando. Ci giocavamo la promozione in Serie B. Non ero convinto di andare a fare il provino, durò tre giorni, ma poi andai via per andare a giocare con la mia squadra. In quel momento era importante difendere la squadra della mia città. Vincemmo 0-1. Poi il lunedì seguente firmai per il Siviglia. Lì ho incontrato anche Maradona, abbiamo costruito il nostro rapporto passeggiando insieme al mattino. Non potevamo uscire in orari normali, così uscivamo presto. Io dormivo poco e mi piaceva: un po’ per egoismo e un po’ per piacere personale nell’incontrare il migliore al mondo. Se dormo poco? Sei ore al massimo - ride, ndr. - dormo il necessario, mentre dormo perdo tempo per altre cose.

"Dentro di me sono orgoglioso della mia carriera, anche se non ero fortissimo - continua il ds giallorosso, tra campo e scrivania - ma ho realizzato il sogno di quando ero bambino. Tra le plusvalenze che ho portato a termine quella di Dani Alves riflette la mia filosofia di lavoro, che è prendere un giocatore sconosciuto, avere la pazienza di farlo crescere in Europa, fare in modo che il suo rendimento porti a risultati, e poi fare plusvalenza. Questo è il modo perfetto di lavorare per me, e a Siviglia l’ho sempre fatto. Oggi la scelta di un giocatore è un mix tra occhio e computer. Ma l’ultima fase è la visione del giocatore. Il tempo è fondamentale: anticipare gli altri, per questo si utilizzano i dati. Per me l’utilizzo dei big data è la chiave".

"Alla Roma sappiamo chi è il giocatore di cui l’allenatore ha bisogno. La relazione con l'allenatore e la capacità di capire le esigenze dell’allenatore, rappresenta il 90% di una trattativa. Per conoscere un calciatore io mantengo sempre una teoria che non so se sia giusta o sbagliata. Non possiamo dimenticarci che un calciatore è un calciatore e una persona. Il giocatore difficilmente dimentica come si gioca a calcio, se ha qualità quella rimane. Alcune volte dimentichiamo che il rendimento del giocatore non ha nulla a che vedere con il giocatore, ma con la persona che sta dietro al giocatore. Pertanto dobbiamo provare a conoscere, più rapidamente possibile, questa persona per approfondirla sotto tutti i punti di vista, informandoci direttamente sul giocatore e su quello che gli sta intorno, come la famiglia e gli amici. Perché se arriviamo alla persona e siamo capaci di porla in uno stato di felicità, il giocatore giocherà meglio. La virtù della società e della squadra deve essere quella di accorciare i tempi di inserimento e adattamento. Questo è quello che fa una grande società".

Tra presente e futuro, a tinte giallorosse: "Eusebio Di Francesco richiamò la mia attenzione, ma anche quella di altri ds, per la carriera che ha fatto al Sassuolo: mi sarebbe piaciuto prenderlo. Quando sono arrivato in Italia, Monchi doveva cambiare per adattarsi ad una nuova situazione. Ora sono contentissimo di come vanno le cose e dell’accoglienza che ho ricevuto. La capacità di generare incassi che un nuovo stadio evidentemente presuppone, farà in modo che vengano reinvestiti per diventare una società più moderna e soprattutto più potente - ha continuato Monchi - campagna acquisti? Questo è il nostro pane quotidiano, come si dice in Spagna, l’eterna discussione se si vende tanto o meno. La Roma vende, quasi tutte le squadre del mondo vendono; l’ho già detto tante volte, non si vende perché si vuole vendere ma perché ci sono delle norme da rispettare che ti obbligano a far quadrare il bilancio e generare una plusvalenza per poter avere un organico di alto livello. È lo stesso discorso che facevo a Siviglia e lo conoscete a memoria".

Passando poi a parlare dei singoli, Monchi spiega: "Under è giovane, proviene da una lingua e da una cultura diversa: aveva bisogno di tempo. Gli abbiamo dato tutto ciò di cui aveva bisogno. Poi lui ha fatto la sua parte: è cresciuto, si è aperto e stiamo sulla strada giusta. Totti ha una capacità e un’influenza incredibile, così grande che la Roma deve utilizzare. Sarebbe assurdo non utilizzare i poteri di un supereroe. Se ho mai pensato che il lavoro prevaricasse l’uomo? Sì, molte volte. Mi toglie tempo a due cose per me fondamentali: la famiglia e gli amici. E’ la cosa più negativa, non avere tempo per loro. Per la Roma del futuro mi immagino di dare ai tifosi ciò che chiedono e che meritano. Devono essere orgogliosi anche per i nostri meriti sportivi. Ma non un titolo, serve stabilità nei successi. Il tifoso deve capire che un titolo non è difficile, ma lo è la continuità".

E infine, qualche curiosità: "Se dovessi scegliere tre persone che non conosco per andare a cena? Difficile... Andrei possibilmente con Gesù Cristo, con un politico importante e con uno storico. A me piace molto la storia, la politica e sono molto cattolico, per questo scelgo queste tre persone. Non uso sportify, sento musica della mia città, di Cadice".



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