Sì, viaggiare. Lucio Battisti che rimbomba nell’auricolare, un bagaglio di esperienze - ma zero rimpianti - tra le mani. Mohamed Sissoko te lo immagini così, con una valigia in mano e pronto per un viaggio intercontinentale. Alle spalle, una carriera da calciatore durata poco più di 15 anni: Juventus e Fiorentina le tappe italiane, nelle ultime stagioni il giro del mondo passando per India, Messico, Giappone e Indonesia. “Sarei potuto diventare più forte? Qualcuno la pensa così, ma io sono orgoglioso di dove sono arrivato”.
GLI ANNI ALLA JUVE: DAGLI ALLENAMENTI CON IMMOBILE ALLE PAROLE DI CONTE
A 34 anni, pochi giorni dopo l’annuncio del ritiro dal calcio giocato, Momo si gode il calcio europeo da un’altra prospettiva: “Anche quando ero in Asia, continuavo a guardare la Serie A, la Premier e gli altri campionati”. E poi, dando uno sguardo alle italiane di oggi, Sissoko non può fare a meno di sentire il nostro calcio… ancora un po’ suo. “Ibra, Conte, addirittura Immobile! Quando ero a Torino, lui giocava nella Primavera e ogni tanto si veniva ad allenare con noi”, racconta ai microfoni di gianlucadimarzio.com.
A distanza di oltre 10 anni, Ciro è il capocannoniere della Serie A. “E ha lavorato tanto, per arrivare a questi livelli - spiega Sissoko -. Vi dico la verità: ai miei tempi era un giocatore normale, non pensavo sarebbe diventato così forte. Oggi lo vedo in campo e dico chapeau! I più giovani lo devono prendere d’esempio”.
Da uno juventino all’altro, in bianconero Momo fece appena in tempo a conoscere Antonio Conte: “Lui era appena arrivato, io ero già finito nel mirino del PSG. A Parigi sognavano in grande, avevano un progetto ambizioso e volevano costruire una squadra forte. Antonio parlò chiaro. Momo, nel mio progetto a centrocampo ci sei tu, mi disse. Nonostante ciò, alla fine preferii tornare in Francia. Mi sarebbe piaciuto lavorare con lui, oggi Conte e Klopp sono quel tipo di allenatori che convincono i propri uomini a lasciare la pelle sul campo. Loro ti danno tutto e pretendono altrettanto da chi gioca la domenica”.
LA PRIMA VOLTA DI IBRA NELLO SPOGLIATOIO DEL PSG
A proposito di PSG: negli ultimi 6 mesi al Parco dei Principi, prima del passaggio alla Fiorentina, Momo era compagno di Zlatan Ibrahimovic. E quel PSG, in fase di ristrutturazione, un po’ assomigliava al Milan di Boban e Maldini.
“C’è poco da fare, se c’è Ibra diventi più forte. E’ un giocatore speciale perché è tranquillamente disposto ad assumere su di sé ogni responsabilità. Ancora mi ricordo il suo primo giorno di allenamento. Nello spogliatoio non fiatava nessuno, i più giovani guardavano Ibra come fosse un alieno: era il primo top player a sposare il progetto del club. E poi in campo fa la differenza: i compagni di squadra si sentono al sicuro, gli avversari sono intimoriti alla sola idea di doverlo affrontare. A livello psicologico, ha un impatto devastante”.
PRIMA LA FIORENTINA, POI... IL GIRO DEL MONDO
Il ritorno in Italia, nel gennaio 2013, portò Momo alla corte di Vincenzo Montella. Solo cinque le presenze collezionate in sei mesi, ma nessun rancore nei confronti dell’allenatore: “Non mi dispiace per com’è finita perché arrivai in una squadra che giocava alla grande. Non potevo pretendere che si rivoluzionasse la formazione per mettermi dentro, specie se i miei compagni continuavano a dare a Montella quello che voleva”.
La Fiorentina, poi il mondo. Sei anni di viaggi abbinati al pallone, passando pochi mesi pure a Terni. Nomi... squadre, città: Shangai, Pune City (India), poi gli indonesiani del Mitra Kukar e, infine, un anno in Messico al San Luis.
“Non avessi fatto questo mestiere, non sarei riuscito a visitare così tanti posti. E’ stato importante, specie se guardo al futuro che mi aspetta. Girare il mondo, conoscere culture differenti dalla tua… è fantastico. Poi io sono fatto così, ho un carattere che mi permette di trovarmi a mio agio ovunque vada. Comunicare e imparare le lingue è stato complicato, ma confrontarmi con realtà come quella indonesiana non ha prezzo”.
IL RAMADAN E I PROGETTI PER IL FUTURO
L’addio al calcio è arrivato a soli 34 anni, “colpa di un ginocchio che non mi dava pace. Finché ti senti in forma è giusto continuare a giocare, io non sarei riuscito a rimanere ai livelli che desideravo. Se mi guardo indietro, sono felice di quello che ho fatto. Ho vinto la Liga con il Valencia a 19 anni, una stagione più tardi ero nel Liverpool di Benitez e poi sono passato dalla Juve al PSG”. Mica male, no?
“Certo, nella Juve di Conte sarebbe stato bello restare. Però la vita è così, ti mette di fronte a certe scelte. Alcune volte fai quella giusta, altre no. A 17 anni ho lasciato casa per trasferirmi in Spagna e inseguire un sogno: sono cresciuto come uomo e come calciatore”. Un ruolo centrale nella carriera - e, prima ancora, nella vita - di Mohamed spetta senza dubbio alla religione. “Il ramadan? Accostarlo alle prestazioni di chi lo pratica e scende in campo non ha senso. Ognuno deve guardare al proprio fisico per capire se sia possibile osservarlo oppure no. Ci sono stati periodi in cui, nonostante il ramadan, ho giocato le migliori partite della mia carriera”.
Dagli scarpini da calcio all’outfit “giacca e cravatta”, Sissoko ha già le idee chiare sul suo futuro nel mondo del pallone: “Voglio aiutare i giovani, ma non mi piacerebbe fare l’allenatore. Miro ad assisterli nella loro crescita, un tempo era più semplice affermarsi ad alti livelli mentre adesso ci sono tanti talenti che si perdono per strada"
"Credo che sia fondamentale che qualcuno si metta a loro disposizione: più che un procuratore, ai ragazzi serve gente che di calcio ne capisca, che sia pronto a mettere la propria esperienza al loro servizio. Ecco, vorrei fare questo. Contribuire alla loro crescita dall’esterno, consegnandoli al mondo del calcio quando sono già pronti per affrontare ogni genere di situazione”.