Sul palco del Festival dello Sport a Trento il protagonista di giornata è Paolo Maldini. L’ex difensore del Milan e della nazionale italiana - ora dirigente rossonero - è tornato a parlare della sua carriera da giocatore, ricordando anche numerosi aneddoti relativi a vittorie, sconfitte e allenatori - dando poi anche la sua opinione su alcuni temi del presente.
“Quando ho cominciato avevo dieci anni - inizia a raccontare Maldini - ho comprato le scarpe con mia mamma in Corso Buenos Aires, sono andato lì e mi hanno schierato come ala destra. Fino all’esordio non pensavo di essere in grado di giocare in Serie A, nell’autobus, al ritorno, ho acquisito consapevolezza. Anche oggi i talenti ci sono ma il sistema non li aiuta perché usciti dalle giovanili non sono pronti neanche per la C, questo deve far riflettere la Federazione anche sulle seconde squadre”.
Maldini passa poi a parlare di alcuni allenatori incrociati nel corso della sua lunga carriera: “E’ un peccato che Sacchi non abbia allenato più a lungo ma è arrivato da noi al momento giusto. Era così maniacale che lui stesso è rimasto prigioniero di quel suo modo d’essere. Lo stress lo ha consumato, spesso i geni sono così. Capello è stato un manager e un grandissimo allenatore. A Barcellona, in finale, per la prima volta partivano sfavoriti in finale, poi pochi giorni prima perdemmo contro la Fiorentina che giocava in B, ma lui non fece nessuna piazzata, affrontò al meglio la situazione è venne a dirci che eravamo fortissimo e che avremmo vinto in Spagna”.
E ancora: “Parliamo tanto di Capello, Sacchi e Ancelotti, ma quello che mi ha insegnato il calcio è stato Liedholm, che ha avviato il ciclo del Milan. Ancelotti me lo sono goduto nel miglior momento perché avevo anche un’età diversa, sono un emotivo e a 34-35 le emozioni si vivono in maniera diversa. Ho sempre pensato come mai non avessimo vinto tanto con Sacchi in Italia, forse è stato perché ha sempre voluto giocare alla stessa maniera anche se cambiavano le condizioni attorno, come avversari e campi. Gattuso è più da Coppa o campionato? Vediamo quest’anno…”.
“Rino ha un grande senso di appartenenza, che è la prima cosa che abbiamo voluto trasmettere io e Leonardo. Adesso sta cambiando anche la visione che hanno gli altri di Gattuso, non è solo quello tutta grinta ma ha fatto un salto avanti anche dal punto di vista tecnico e tattico, infatti ha la nostra fiducia. È stato coraggioso ad accettare la panchina del Milan e ha la grande dote di sapere ascoltare".
Parole d’affetto, poi, anche per Silvio Berlusconi: “Il mio presidente. Un visionario. Ci disse che saremmo diventati i più forti al mondo è un po’ ridevamo, ma dall’arrivo di Sacchi ci siamo resi conto che non era una persona normale. Se ci sono ancora presidenti così appassionati? Sarà sempre più difficile per un imprenditore gestire squadre di alto livello. La passione però la da la proprietà è quella è stata la chiave del nostro successo. Milan-Monza a San Siro? Secondo me ce la faranno, a Galliani brillano gli occhi quando parla di calcio. Con lui ho vissuto momenti straordinari e qualche litigio, come normale che sia per risolvere i problemi. Io voglio avere accanto persone che mi dicono come stanno le cose e non che mi diano sempre ragione, solo così si cresce”.
“Da calciatore ho giocato in tanti ruoli. Sono innamorato del gioco e del pallone, spero di essere stato corretto. Mi considero corretto, poi una volta andai ad una premiazione con Maradona e al terzo video che mostravano gli ho chiesto scusa perché non ricordavo di avergli dato tutte quelle botte. La finale di Liverpool, insieme alla finale persa contro il Brasile è l’amarezza più grande, ma due anni dopo abbiamo avuto la nostra rivincita. Come si vive la gara in quei momenti? Io non facevo calcoli, anche perché riguardando la partita si vede che anche sul 3-3 abbiamo avuto occasioni. Per quanto riguarda la Corea, mi arrabbiai tanto, tirai fuori il peggio di me. Un arbitro onesto avrebbe dovuto cacciarmi fuori per quello che gli ho detto…”.
"I fischi nel giorno del mio addio al Milan? Succede. Al rientro a casa abbiamo fatto lo stesso una festa, c’era un po’ di amarezza ma quella scena ha delineato il solco tra me e certi atteggiamenti che non terrò mai. Il non verrò mai meno alla mia rettitudine e al mio voler essere una brava persona. Non so cosa contestassero ma sono contento che sia successo e sono contento che nella partita dopo a Firenze abbia ricevuto quel tributo. In Italia manca cultura sportiva, la sconfitta va considerata parte del gioco, è fondamentale".