Presenta, passato, futuro e sogni. Fabio Borini si racconta in lunga intervista rilasciata a La Gazzetta dello Sport prendendo spunto dal libro ‘Niente di vero tranne gli occhi’ del suo scrittore preferito, Giorgio Faletti. “Dagli occhi non sono mai riuscito a capire se un allenatore mi avrebbe fatto giocare. Ci sono troppi fattori esterni. Io sono un iper-razionale e lo dimostro anche nei tatuaggi. Ad esempio, ho il Grillo Parlante di Pinocchio perché voglio una coscienza vigile. Poi c’è anche un Peter Pan con la maglia numero 29 perché desidero mantenere sempre le mie idee, e inoltre ho il mio nome scritto in cirillico perché quando ero piccolo in estate prendevamo in affido un bambino bielorusso della zona di Chernobyl, Andrej. Quando andai a giocare ad Homel col Liverpool l’ho contattato ed è stata una bella emozione rivederlo. Andrej voleva diventare medico e ce l’ha fatta. Certo però che a giocare a pallone era proprio scarso...”.
Anche Borini ha realizzato il proprio sogno di diventare calciatore. Un giocatore che fa della resistenza e della grinta la propria forza, dedito al sacrificio per la squadra: “Nella colonia estiva non potevo giocare a pallone e così, quando tornavo, avevo così voglia di giocare a calcio che per prima cosa mi mettevo da solo a correre da una porta all’altra senza fermarmi mai. Avrò preso da mia mamma Cinzia, che ha corso la ‘cento chilometri’ sia nel Sahara che in Islanda. Pensate però che da ragazzo in allenamento avevo poca voglia e così capitava che l’allenatore mi spedisse nello spogliatoio per punizione”.
A 16 anni poi l’inizio dell’avventura al Chelsea: “Per decidere non ho dormito per settimane. Una volta partito però, quando tre mesi dopo mi prese nostalgia di casa e non sapevo neppure l’inglese, i miei mi dissero di non mollare e hanno fatto bene. Quell’esperienza da solo mi ha fatto crescere. Stavo in famiglia, da Keith Carnes, un londinese separato, che abitava in una grande casa dove ho cominciato a cucinare usando gli appunti dei nutrizionisti del Chelsea. Sono stato bene con Keith e le sue tre figlie che si sono innamorate di me ma in modo fraterno”.
Borini ha riscontrato diverse differenze tra uno spogliatoio inglese e uno italiano: “Da loro si passa più tempo a lavorare che a chiacchierare, lo spogliatoio è quasi sempre vuoto. In Italia invece si sta più insieme. Mi piacerebbe trasmettere il modo di approcciarsi alla partita che hanno in Premier. Qui da noi è troppo serio, pesante”.
In pochi ricordano la convocazione dell’ex Sunderland nella Nazionale che all’Europeo nel 2012 fu sconfitta in finale dalla Spagna. Nazionale in cui, per altro, sogna di tornare: “Nessuno sa che ho partecipato a quell’Europeo. Non mi sono mai scaldato durante una partita, Prandelli non mi ha mai parlato. La Nazionale non mi ha mai considerato ed è anche per questo che sono tornato in Italia”.
In quell’Europeo il protagonista fu il suo amico Mario Balotelli: “Potenzialmente è tra i più forti che io abbia mai visto. Con lui o sei diretto o non funziona. L’amicizia è una cosa seria, che rimane. Pensate che fino a poco tempo fa, quando tornavo al paese, la notte mi mettevo a giocare a calcio con gli amici nel parcheggio vicino a casa mia come quando eravamo piccoli”.
Infine, una previsione sia sulla Serie A sia sull’Europa League: “In Serie A dico Juve, invece per l’EL direi il Milan. E così anche in Coppa Italia, ce la possiamo fare”.
L’intervista integrale su La Gazzetta dello Sport.