Oltre il paradossale. Oltre una serata che ha restituito i tre punti, con un pizzico di speranza-Champions in più annessa, presentando al contempo nuovi aspetti negativi da risolvere, accantonare, testimoniare. Ma più di ogni altra cosa, sovrastare.
Serviva battere un colpo, al Milan di Rino Gattuso: nel modo più brutto o più bello possibile, soffrendo o dominando. E dopo la cinque giorni di ritiro, con il ritardo di un’ora di Bakayoko come goccia capace di far traboccare il vaso di una pazienza al limite, la risposta più attesa è arrivata: i rossoneri, in qualche maniera, restano aggrappati con una mano al vagone Champions. Con tutte le difficoltà del caso, 3 punti di ritardo sull’Atalanta compresa, ma riscoprendo volti, cuore e carattere ritrovato nel momento dell’estremo bisogno.
Suso in prima fila: ritrovare il gol quasi 5 mesi dopo l’ultima occasione, con il destro vincente di Genova, ricordandosi nuovamente il modo in cui far esplodere San Siro per la prima volta dal 31 ottobre scorso (2-1 al Genoa). Un pezzo dei suoi, di quelli che erano mancati a lungo (eccome) in un enorme periodo di difficoltà: prove spente, tiri deboli, cross bassi, passaggi sbagliati. Oggi, la sua inversione di rotta sembra esattamente contraria a quella di Bakayoko: impacciato al via della sua avventura rossonera, portato a fungere da metronomo del centrocampo del Milan, diventando idolo dei tifosi. E incredibilmente rivelatosi, appena nell’arco di una settimana, elemento capace di compromettere ogni positività registrata con comportamenti extra campo intollerabili.
Oltre il paradossale: perché se il francese sembra l’inevitabile sostituto di Biglia, uscito malconcio dopo mezz’ora di gioco, José Mauri è invece la testimonianza da 7 presenze e 318 minuti di ciò che nell’ambiente rossonero, ora, si vuol vedere. Voglia e prontezza di mettersi subito a disposizione, al contrario di battibecchi evitabili e deleteri, con ogni arma in possesso: nel caso dell’argentino, un’ottima ora di carica, voglia e buona fase di impostazione in mediana. Indipendentemente da un ruolo, rispetto incluso, da comprimario.
E se anche Paquetá, esponente del futebol bailado e del divertimento fatto a pallone, si fa prendere dal nervosismo all’improvviso, lasciando i compagni in 10 nell’ultimo quarto d’ora, tutto sembra propendere verso la resa finale. Non, però, per quel pizzico di cuore che nel Milan di Gattuso è rimasto: nel volto di Borini, subito efficace da subentrato; nelle parate di Donnarumma, decisivo ai fini del risultato. Quelli che, riprendendo la “spinta” nel messaggio della curva rossonera nel pre partita, nello spogliatoio non sono rimasti. Senza paura, oltre ogni crisi di nervi o difficoltà e con unità, nel gesto di cuore della maglia di Caldara sventolata da Kessie. E oltre ogni paradosso. Con una mano ancora aggrappata ad un treno Champions che, tra 270’, giungerà ad un capolinea decisivo per la costruzione del futuro rossonero.