14 ottobe 2009. Stadio Centenario di Montevideo. Si gioca Uruguay-Argentina. Non è la finale del Mondiale come nel 1930, ma è uno spareggio per andare in Sudafrica. A decidere quella sfida con un gol in piena mischia fu Mario Ariel Bolatti. Forse l’uomo meno atteso. “Dopo quella partita mi baciò e mi abbracciò. È un momento di felicità che sempre rimarrà nella mia mente. Dare una gioia a Maradona e a tutto il gruppo è stato fantastico e ne sono onorato”. Così l’ex centrocampista della Fiorentina a Gianlucadimarzio.com, autore di uno dei gol più importanti della gestione Maradona sulla panchina della Seleccion.
A distanza di circa 10 anni da quella Coppa del Mondo, El Gringo - per quella chioma bionda che lo caratterizza - ricorda così il terribile momento della scomparsa del Diez. “Stavo parlando con un amico e all’improvviso ho visto la notizia in tv. Ho pensato e sperato che fosse una fake news, ma col passare dei minuti non veniva smentita e ho iniziato a ricevere tanti messaggi. È stato un momento molto triste, con tanta sofferenza, e anche oggi ho una sensazione strana: come se una parte di me se ne fosse andata, c’è un grande vuoto che non riesco a colmare”. L’ultima volta che si sono incontrati è stato in Brasile. “Durante il Mondiale 2014, io ero a Rio perché giocavo al Botafogo e lui alloggiava in un albergo. Una sera lo vidi rientrare e parlammo per qualche minuto. Anche in quell’occasione mi accolse in maniera affettuosa”.
‘UN GIGANTE UMILE E SEMPLICE’
Conoscerlo, essere allenato e condividere con lui momenti intimi. Bolatti ha potuto vivere tutto questo. Il massimo per un argentino. “Calcisticamente parlando non esistono aggettivi qualificativi per descrivere quella che era e sarà in eterno questa leggenda. Ricorderò per sempre la parte umana: una persona con un carisma ineguagliabile, affettuosa e di una semplicità unica: qualcosa che non ci si aspetta da un gigante. E a me questo aspetto mi ha sempre colpito. Maradona si sedeva al tavolo al pari con gli altri, come se fosse un amico, un fratello o un parente in più. Durante i ritiri con la nazionale ci veniva a bussare alla porta prima di andare a dormire e ci chiedeva come stessimo. Se ci vedeva prendere il mate, si siedeva insieme a noi a parlare: era il suo modo per trasmetterci fiducia e sicurezza. La sua semplicità in queste situazioni era ciò che lo contraddistingueva. Dimostrava di essere un leader, valoroso e coraggioso, che non aveva paura ad affrontare nessun ostacolo. Era sempre positivo, e questo lo può dire solo chi ha avuto la forrtuna di trascorrere del tempo con lui”.
10 alla persona, così come in campo…“Aveva un sesto senso, quella capacità di leggere prima le situazioni di gioco. Era avanti rispetto a tutti gli altri. Questa qualità ce l’aveva da giocatore e così era anche da allenatore”. In partita come in allenamento. “Mi ricordo che una volta mi fermai a osservare come calciava le punizioni ed era davvero formidabile: c’era una barriera in legno e su quattro punizioni, la palla è finita sempre sotto l’incorcio. Impressionante per uno che aveva lasciato il calcio da tanti anni, che si era operato al ginocchio e che aveva problemi a distendere la gamba”.
L’ESPERIENZA IN VIOLA E IL PRESENTE
Il gol contro l’Uruguay e le stagioni con le maglie di Huracan e Porto, gli permisero di arrivare a Firenze nel gennaio 2010 e di giocare gli ottavi di Champions contro il Bayern. “Quell’esperienza la divido in due parti. Ho un ricordo molto positivo dei primi sei mesi, forse perché avevo tanta voglia di giocare il Mondiale. L’esordio contro l’Inter è stata probabilmente la mia miglior partita. Le cose cambiarono con l’addio di Prandelli e negli ultimi mesi persi il posto da titolare. Però faccio sempre autocritica: probabilmente avrei dovuto insistere e rimanere più tempo nel calcio italiano per provare ad adattarmi, invece ho avuto fretta di tornare”. Brasile e poi Argentina. Racing, Belgrano e Boca Unidos, prima di appendere gli scarpini. ‘Adesso sono al secondo anno del corso da allenatore e tra un anno dovrei ottenere il patentino”. E sul ritorno di Prandelli a Firenze: “Davvero?! Non lo sapevo, ma è veramente una bella notizia perché al di là del grande allenatore resta una bella persona. Sono molto contento per lui”.