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Data: 19/04/2016 -

Le olive ascolane che portavano fortuna al presidente dell'Ascoli Rozzi le cucinava solo Bruno Pignotti

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Dici Ascoli e pensi subito a Costantino Rozzi, il previdentissimo che seppe portare la squadra dalla Serie C alla Serie A a suon di gol, spettacolo e grandi intuizioni calcistiche. E accanto a lui c’è sempre stato un amico fidato “Al punto tale che quando decise di comprare insieme a me l’hotel Villa Pigna al 50%, ma a patto che decidessi tutto io. Lui non doveva avere voce in capitolo”. Lo racconta così Bruno Pignotti, che ora gestisce il ristorante Cherry One ad Ascoli, ma che è diventato un’icona in città per la sua amicizia sincera con Costantino Rozzi e…per le sue olive ascolane.

“A Costantino non piaceva mangiare più di tanto ma si fidava ciecamente di me e mi volle sempre al suo fianco”. E poi Bruno per Rozzi era anche un piccolo amuleto. “Era uno degli uomini più scaramantici che abbia mai conosciuto: una volta mi chiamò durante un Ascoli-Juventus per portare una porzione di olive ascolane in tribuna. Perdevamo 0-2, neanche il tempo di appoggiare il vassoio accanto a lui che l’Ascoli fece gol. Alla fine il risultato fu 3-2 e da allora dovetti portare sempre le olive allo stadio a 15’ dalla fine dalla partita”.

Si, perché per il presidente Rozzi la scaramanzia veniva prima di tutto. “Era diventato famoso per i suoi calzini rossi sempre in vista, ma anche per il sale lanciato in campo prima delle partite. Per non parlare della tradizione dell’impermeabile: lo lanciava sempre in un angolo appena entrava nello spogliatoio prima di una gara dell’Ascoli. Una volta un ragazzino della Primavera, alla prima convocazione, lo raccolse e lo mise sull’attaccapanni. Non vi dico la reazione di Costantino, quasi lo voleva menare”. Sempre con il sorriso perché Rozzi era un uomo gentile e pieno di vita. “Non l’ho mai visto stare fermo più di 5’, e poi quando parlava gesticolava come un matto”.

Dello stadio Del Duca fu il costruttore, e all’interno di quella che era diventata a tutti gli effetti “casa sua” custodiva un preziosissimo amuleto. “Aveva fatto fondere un centinaio di ferri di cavallo facendoli diventare una statua tenuta sempre allo stadio. Prima di ogni partita la faceva tirare fuori e pretendeva che tutti i giocatori e membri dello staff la toccassero come porta fortuna”.

Scaramantico, istrione, ma sopratutto un gran signore. “Costantino ci sapeva fare e per questo tutti gli davano fiducia, era un uomo di ingegno che ispirava serenità”. E aveva un’idea fissa: portare in alto il suo Ascoli. Fu per questo che ne associò l’immagine del picchio: un animale ostinato, che colpo dopo colpo riesce sempre ad ottenere quello che vuole. Proprio come l’Ascoli che fu di Costantino Rozzi, con la sempre attenta supervisione dell’amico Bruno Pignotti, tra una battuta ed un’oliva ascolana fatta in casa.

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