Toldo; Paolino, Cannavaro, Tassotti, Serginho; Seedorf, Ambrosini, Di Biagio; Massaro, Shevchenko, Inzaghi. Mica male, l’undici (con abbondante quantità di alternative) presentatosi in mattinata davanti alla basilica di Sant’Ambrogio: tanti preferiscono sfilare in silenzio, a testa bassa e con qualche sguardo o cenno di saluto alla folla presente. Altri, invece, si avvicinano volentieri ai microfoni per parlare, ricordare, rivivere Cesare Maldini. In una classica mattinata grigia nel cuore di Milano, tesa a rispecchiare un po' l'umore generale, che in quella leggenda del calcio italiano custodiva un piccolo pezzo di cuore, spentosi nella notte tra sabato e domenica.
Lui, Cesarone, rivedendo tutti i suoi ragazzi uniti, avrebbe accennato ad un sorriso, ripensando alle tante battaglie vissute insieme. Un po’ come con le imitazioni di Teo Teocoli, prima non troppo apprezzate e poi trait d’union in un’amicizia tra due persone così lontane, eppure così vicine. “Oltre ad essere un grande del Milan, era soprattutto un amico: nonostante la differenza d’età, quando lo prendevo in giro rideva, ogni tanto mi sgridava. Era strano che un uomo di tredici anni più grande sopportasse le mie imitazioni”. Strano sì, ma bello, e anche tanto. Come l’abbraccio con Paolo Maldini, alla fine della cerimonia, in un misto tra una timida risata ed un pizzico di commozione.
L'abbraccio tra Teo Teocoli e Paolo Maldini
Erano in tanti, stamani, a ricordare chi ha saputo scrivere a modo suo la storia di questo sport. Primo calciatore italiano a sollevare la Coppa dei Campioni, in quel di Wembley, accompagnato da un motorino come Lodetti che anche oggi, per l’ultima volta, voleva essere al suo fianco. Poi Luisito Suarez, indimenticato avversario in quegli anni ’60 da favola per le milanesi, Claudio Gentile, tra i condottieri della magica spedizione in Spagna dell’’82, e Urbano Cairo a rappresentare l’ultimo club della carriera da giocatore di Maldini, il Torino. Poi Tavecchio, Abodi, Malagò e Fabio Cannavaro, tra i tanti allievi cresciuti da Cesare: “Mi ha insegnato tanto, di lui restano i valori di questo sport che ha portato avanti insieme a suo figlio”.
In mezzo alle varie delegazioni dei club, poi, tra Marotta, Toldo, Zanetti, Favalli e Galliani ecco spuntare Andriy Shevchenko: uomo copertina di quell’incredibile 6-0 dell’11 maggio 2001, insieme a Comandini, capace di regalare alla storia di quel Milan di Cesare e Paolo Maldini uno dei derby più pazzi di sempre. Tra sirene, clacson e soliti ingorghi cittadini milanesi, il suo arrivo davanti alle telecamere sembra spegnere ogni luce ed ogni suono attorno: per lui e per tutti, nel silenzio generale, "Cesare è stato un grande papà”, prima di andarsene in lacrime preda di una commozione troppo forte ed una riconoscenza ancora viva verso chi, in poco tempo, è riuscito ad insegnargli davvero tanto.
La commozione di Andriy Shevchenko
L'ultimo arrivo è quello di Silvio Berlusconi, quasi a chiudere quel cerchio tutto rossonero che ha avvolto la vita di Cesare. E Paolo? Una pacca sulla spalla al figlio Daniel, visibilmente commosso e futuro, insieme a Christian, di quella dinastia Maldini destinata a rivivere ancora, prima di seguire papà sino all'ultima curva. Di una splendida storia iniziata oltre 40 anni fa, quando Paolo dovette solo decidere per chi giocare: "Milan o Inter?". La scelta la sapete già: seguire le orme di un papà che oggi, purtroppo, non c'è più, ma che resterà indelebilmente ed eternamente scolpito nella leggenda del nostro calcio. Buon viaggio, Cesare. E grazie di tutto.