Tre scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa dei Campioni, una Coppa Intercontinentale, una Coppa del Mondo... e la lista è ancora lunga. Angelo Peruzzi ha vinto tutto durante la sua carriera, nonostante le perplessità iniziali di molti colleghi e addetti ai lavori. "Cinghialone" ha zittito i critici e si è guadagnato il rispetto e le simpatie di tutti i tifosi, anche di quelli avversari. L'ex portiere di Juventus, Roma, Inter, Lazio e Verona ha raccontato la sua storia nel corso di una lunga intervista concessa al Corriere dello Sport:
"Se sono diventato portiere lo devo alla mia maestra delle elementari. A me è sempre piaciuto giocare con qualsiasi cosa rotolasse. All’inizio ho svolto tutti i ruoli. Tutti salvo quello di difendere la porta. Mi piaceva fare gol e fare il regista. Il mio ruolo favorito era quello di numero dieci, il principe dei ruoli. Mi piaceva fare i lanci lunghi, mostrare i tocchi di classe. Ma scoprii presto che non bastava l’estro, bisognava correre. Non il mio genere preferito. Capitò che dovessimo giocare una partita delle quinte elementari della mia scuola. La maestra, non sapendo chi schierare in porta, ci fece fare una prova: chi sapeva saltare tanto in alto da toccare la traversa della porta avrebbe indossato il numero uno. Fui l’unico. Me ne ricordai, di quel salto e di quella maestra, quando vinsi la Champions League. Mio padre mi ha sempre seguito da vero appassionato. Ma quando cominciai non distingueva una squadra da un’altra. Quando andai al provino per la Roma, a tredici anni, mi accompagnò lui. Al Tre Fontane c’era, per la società, Perinetti. Gentilmente ci chiese per quale squadra tifassimo. Mio padre rispose, buttandola lì, che eravamo simpatizzanti della Lazio. Perinetti sorrise e disse: 'Ma qui siamo alla Roma...'. Mio padre sbiancò e tutto cominciò così".
Peruzzi ricorda così il giorno dell'esordio tra i professionisti: "E' avvenuto contro il Milan, nel 1987, il titolare Tancredi fu colpito da un petardo. Era a terra svenuto, c’era una gran confusione intorno. Io avevo diciassette anni. Liedholm si girò verso la panchina e disse 'scaldati e entra in campo'. Io ero nel pallone e restai fermo. Pruzzo, che era con me in panchina, si voltò e mi urlò 'Guarda che dice a te, non ci sono mica altri portieri qui'. Allora mi scossi e infilai i guanti. Però c’era un’atmosfera strana: gli spettatori avevano cominciato ad andare via, in campo i miei compagni dicevano che potevamo perdere dieci a zero ma avremmo vinto a tavolino. Ricordo che io ero proprio sotto la curva del Milan. Tiravano di tutto, gettoni telefonici e monete da cento lire. In occasione di un corner chiesi a Desideri di mettersi sul palo. Così mi avevano insegnato. Lui mi guardò, osservò bene la curva inferocita e mi disse 'Ma che sei matto?'. Perdemmo uno a zero. Su rigore. Ma provocato da una mia uscita incerta...".
Il passaggio alla Juventus fu uno dei momenti chiave della carriera del portierone laziale: "Fu l’anno di Maifredi e, al termine di un campionato fallimentare, la Juve richiamò in servizio chi le aveva garantito le vittorie degli anni ottanta: Trapattoni e Boniperti. Mi riunii a lungo con il mio procuratore Bonetto. Limammo fino a notte fonda i dettagli delle richieste economiche che avrei dovuto fare il giorno dopo al presidente: ingaggio, premi e altro. Arrivai in sede e Boniperti mi ricevette. Mi chiese se ero sposato e mi 'consigliò' di farlo, mi squadrò la testa, si disse soddisfatto del taglio dei capelli e poi tirò fuori dal cassetto un contratto già redatto in ogni parte e già firmato da lui. Mi disse 'Questo è il contratto, firma'. Io sussultai, avevo la lista delle mie richieste. Provai a obiettare. Mi rispose, secco, 'Firma e basta'. Firmai, ovviamente, e, paradossalmente, mi sembrò poi che fosse stata la cosa più naturale da fare".
Tra i trofei più prestigiosi vinti in carriera da Peruzzi c'è la Coppa dei Campioni del 1996: "Il mio ricordo di quella serata è, insieme, dolce e amaro. Presi un gol da pollo, nella finale di Champions. Per tutta la partita sentii un grande senso di colpa. Ero agitato, insoddisfatto. Poi arrivarono i rigori e ne parai due. Ebbi il diritto di essere felice, allora, sollevando quella coppa con le grandi orecchie che era anche mia. Comunque i grandi portieri non si giudicano da quanti rigori hanno parato. Conosco dei numero uno che ne prendevano uno ogni morte di papa. È la tua sensazione, più della tecnica, a dirti in quei frangenti dove buttarti. Un rigore parato accresce la tua popolarità, ma non indica la tua qualità". In bacheca anche la Coppa del Mondo del 2006: "Ricordo la notte dei festeggiamenti. Uno spettacolo incredibile. Arrivammo a Pratica di Mare e da lì attraversammo con il pullman la città a passo d’uomo. Tutta Roma si era mossa per salutarci, fino all’incredibile spettacolo del Circo Massimo. Che notte meravigliosa. Eravamo arrivati in Germania dopo Calciopoli, smarriti e incerti. Lippi riuscì a blindare e motivare la squadra. E diventammo campioni del mondo più con la testa che con i piedi".
Quali sono gli eredi di Buffon? "Per me i migliori sono, ovviamente, Donnarumma, Perin e Sportiello. Ma il problema è che il calcio moderno vuole tutto e subito. E gli allenatori hanno paura a provare, rischiando, un giovane portiere. Aggiungiamo poi che esiste ormai un problema di natura tecnica. I preparatori spesso scaricano da internet gli esercizi da fare ma non sono in grado di correggere gli errori tecnici. La tecnica, per un portiere, è decisiva". Campionato? C'è la solita favorita: "Come ormai è ovvio la Juventus è favorita. Vince da cinque anni, l’anno scorso con quella prova di potenza, e si è rafforzata. Subito dietro ci sono Napoli e Roma. L’Inter avrebbe una rosa competitiva ma non so quanto possa fare. Poi Milan, Lazio, Fiorentina". Parole al miele per la Lazio, società dove ha chiuso la carriera e per il quale, da poco, ha ripreso a lavorare: "La lazialità è un atteggiamento soggettivo. Io amo questa società, la squadra, i tifosi. Ho giocato sette anni con questa maglia, abbiamo conquistato una Supercoppa e una Coppa Italia. Una squadra fortissima che non ha vinto quanto avrebbe dovuto. Oggi lavoro per fare il bene dei colori biancazzurri".