Per capire l’Atalanta basta focalizzarsi sui dettagli, spostare un po’ lo sguardo: Castagne segna e apre un varco per la Champions, un sinistro rasoterra che sa di Paradiso. Alt, dettagli. La telecamera inquadra chi ha segnato ma l’occhio attento guarda la panchina, che dopo la rete del 2-1 corre verso il Papu, incredulo.
“Ragazzi, crediamoci”. Tutti per lui, leader silenzioso di una Dea che fa rumore, e bussa forte ai cancelli della storia: “Non sono un capitano che urla o vende fumo, parlo in privato con i miei compagni”. O in campo, come in occasione del secondo gol. Wallace sbaglia, il Papu ne approfitta e si invola, ma davanti a Strakosha serve l’assist.
Il gruppo prima di ogni cosa, fin dai tempi del suo primo stipendio: “L’Arsenal de Sarandì mi fece un contratto, a quei tempi andavo ancora a scuola, ho offerto panini e bibite per tutti. Fu un momento molto bello”. Identità da capitano.
L’anima di un’Atalanta che ormai non sogna più, ci crede davvero. Affila gli artigli, incassa e reagisce, punge a sua volta dopo il colpo. Tre graffi a una Lazio stanca, martoriata, che oggi dice addio alla Champions e spera nella finale di Coppa Italia, sempre contro la Dea. Anche se stavolta non c’è quasi mai partita,
Parolo illude e Zapata castiga, l'autogol di Wallace chiude i giochi sul 3-1. Atalanta quarta a -1 dall'Inter, grazie ai gol del 'nuovo Pippo Inzaghi'.
Quello che non voleva nessuno: “Adesso mi vogliono tutti, Gasperini mi ha reso grande”. A Udine lo chiamavano scarpone, due anni e qualche guizzo, a Napoli si allenava da solo insieme ai fuori rosa giocando a calcio tennis: “Era come se non esistessi”.
Oggi l’hanno visto tutti, 22 reti in Serie A, una in più di Cristiano Ronaldo, anche se quando glielo chiedono lui dribbla come può: “Vincerà la classifica cannonieri, ne sono sicuro”. Mai dire mai. Intanto guida la sua Dea, miglior attacco della Serie A con 71 reti, a -2 da Superpippo come miglior bomber della storia nerazzurra.
Merito del Papu Gomez, ormai una certezza della Serie A, sei gol in stagione e 45 con la Dea, il rimpianto della Lazio: in estate ha detto no alla proposta di Lotito rinunciando al ‘grande salto’ per amore dell’Atalanta. Qualche tempo fa rispose ‘picche’ anche a Simeone: “È vero, mi voleva l’Atletico Madrid, ma magari non avrei mai giocato. Chissà”. Conta solo il presente, quel cristallo chiamato Champions che diventa diamante, sempre più vicino, sulle spalle di un gigante di un metro e 65.