37 anni e non sentirli. Insieme a Buffon, uno dei veterani del ruolo è Stefano Sorrentino, colonna del Chievo con ancora tanta voglia di continuare: “Quella forza interiore che ti fa raggiungere un obiettivo. Ci sono stati un sacco di portieri più forti di me, però non ce li avevano. Io sì, e riesco ancora a dire la mia nonostante gli anni. Sono un testardo, e mi piacciono le sfide. Mi considero il più scarso di tutti, e proprio questo mi fa tirare fuori ‘gli occhi della tigre’. Questo è il titolo della sua biografia uscita pochi giorni fa: “Io mi definisco un matto. Uno che ha vissuto in pieno la sua vita, con momenti belli e brutti, e che non ha doppie facce. Sono vero, limpido, e per questo non sono simpatico a tanti. Non credo nelle favole o nella fortuna, credo di aver ottenuto quello che ho meritato”.
Da una big alla nazionale: una carriera importante che poteva esserlo ancora di più: “Questi sono sogni che non si sono avverati. Probabilmente è giusto così, magari i miei occhi della tigre non sono abbastanza forti. Certo, mi avrebbe fatto piacere, anche solo per confrontarmi con certe realtà. Ma fa nulla, la vita va avanti. Rimpianti zero, ho sempre dato tutto” – così Sorrentino si racconta in una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport.
Un anno nel Palermo vissuto in maniera intensa: “Una carriera intera in un anno solo. Stressante, ero capitano e mi sono caricato tanti problemi sulle spalle. Ma in quel marasma abbiamo tenuto il gruppo unito, e con una bella zampata finale siamo riusciti a salvarci”.
In Verona-Palermo 0-1, successe qualcosa di inimmaginabile. Ballardini era in panchina ma la squadra venne autogestita dai calciatori: “Qualcuno mise in testa al mister strane idee. Gli avevano riferito che noi italiani gli remavamo contro perché volevamo che tornasse Iachini. Lui ce lo disse, poi sa com’è: uno dice una cosa, uno risponde e andammo allo scontro. E’ stata la prima volta della mia carriera. Ma ho il mio carattere, non mi faccio mettere i piedi in testa. Quando poi lui è tornato ci ha chiesto scusa per metterci una pietra sopra. Da gentiluomini, ci siamo chiariti e abbiamo fatto quadrato. E Ballardini alla presentazione del mio libro sarà invitato”. E Zamparini?: “Non c’era quando ci scontrammo, ma fu lui a ordinare a Ballardini di farmi giocare. Ricordo che mi disse al telefono “Non preoccuparti, tu sei il mio portiere oltre che il mio capitano”.
Da Palermo sono passati tanti campioni: "Con Dybala abitavamo di fronte, c’è un rapporto stretto tra noi due. E’ la semplicità fatta uomo, ed è rimasto tale nonostante si sia ritrovato con la Juve e l’Europa in mano. E poi è talmente grande in tutto ciò che fa che non mi stupirei di vederlo presto col Pallone d’oro”.
Su Belotti: “Forte, fortissimo, bergamasco (ride, ndr). Non si risparmia mai, è bello vederlo giocare per la tenacia e la voglia che ci mette sempre. E parlo da italiano, visto che è il centravanti della Nazionale: spero rimanga in A e continui a farci divertire”.
Senza dimenticare Vasquez: “Beh, il Mudo è... muto, non parla mai. Ma in campo fa parlare i piedi, uno spettacolo. Prima della partita gli chiedevamo quanti tunnel volesse fare. Per lui era la cosa più bella, dribblare, saltare l’uomo. Pareva sempre che stesse lì lì per perderla, ma la palla non gliela toglievano neanche i carabinieri...”.
Portiere ancora si, allenatore no: “Da questa esperienza ho imparato che fare l’allenatore è come fare il genitore: uno dei mestieri più difficili al mondo. E io ho ancora la testa da giocatore, non mi ci vedo, al 99% non lo farò”. Però con 4 figlie, è già diventato 4 volte allenatore: “Infatti è difficilissimo. Quattro femmine, quattro caratteri diversi, le prime tre vivono a Torino con la mamma: sono separato e non è semplice perché la legge italiana i papà separati non li tutela. Ma tutti i giorni liberi li passo con loro. Cene, colleghi e quant’altro non esistono, nel mio tempo libero ci sono solo le mie figlie”. E il figlio maschio che tutti i calciatori sognano? “No, già quattro femmine sono impegnative, mi fermo. Ma a un figlio calciatore direi solo di stare lontano dalla porta. O meglio, lontano dalla sua e vicino a quella avversaria”.
Dopo una dignitosa carriera ecco il Chievo: “E’ un’isola felice, un posto unico dove fare calcio. Quante altre squadre sono da 10 anni di fila in Serie A pur essendo espressione di un quartiere?”. Dietro al segreto gialloblù, c’è anche l’esperienza dei veterani: “Ne parlavamo con Dainelli ieri: quanti nati negli anni 70 ci sono ancora in A? Pochissimi. Totti, Buffon, Bizzarri... altri tre li abbiamo noi. Campedelli ha un progetto vecchio stampo. Innanzitutto l’obiettivo: salvezza. Poi allenatori importanti, ambiziosi, già pronti per una big. Poi un gruppo di giocatori... vecchi, datati, esperti, faccia lei il termine. Comunque gente che sa il fatto suo. E poi ragazzi di talento”.
Sorrentino e i rigori parati. Segreti? “Studio dell’avversario, psicologia, fortuna e talento naturale. L’unico ad avermi disarmato è Perotti della Roma: non guarda la palla ma i tuoi occhi, decide all’ultimo. Al primo che gliene para uno bisogna fare un monumento”.
Tante cose gli sono passate avanti in 20 anni di carriera e tra queste le più brutte, sono le polemiche: “Arbitri, moviole e discussioni varie: è finita, non puoi rigiocarla. Non credo in sudditanze e malafede: alla fine la bilancia è pari. Il calcio non è la matematica, non sempre 2 più 2 fa 4. Con i social poi è tutto peggiorato: non puoi dire una cosa o fare una buona partita che vieni tempestato da insulti e minacce”.
Infine la classica domanda riservata a tutti i calciatori. E se Sorrentino non avesse fatto il calciatore? “Amo le macchine, mi sarebbe piaciuto fare il pilota. Magari poi avrei fatto il meccanico o il venditore di auto, ma il settore sarebbe stato quello”.