“Quanto dura l’intervista?”. Burbero in apparenza, basta poco ed è un fiume in piena. Vitali Kutuzov, professione avventuriero. Oggi portiere di hockey, ieri attaccante nel calcio professionistico. Rette parallele, mai destinate a incrociarsi. O quasi. Trait d’union Milano, diventata una seconda casa. Lui, passaporto bielorusso, emigrato in Italia per vestire rossonero. Galeotta fu Bate Borisov-Milan. Era il 20 settembre 2001, primo turno di Coppa UEFA. Vitali giocò una delle sue migliori partite.
E si aprirono lì le porte della Serie A: “La svolta della mia carriera. Durante l’intervallo Galliani fece la proposta al presidente”, racconta a gianlucadimarzio.com. “Ero emozionato, incurante delle difficoltà che avrei affrontato”. Nuovo Paese, nuova lingua. Ma soprattutto uno straordinario ambiente di lavoro: “Grandi personalità. Mi hanno insegnato come lavorare e quale immagine trasmettere fuori dal campo”. Tutti per uno, uno per tutti. In lotta per un posto Champions, lo spogliatoio “era sereno. A parte qualche battuta di Gattuso. Laursen e Kaladze glaciali, i brasiliani non sentivano pressioni. Scherzosi gli italiani”.
Capitano gentiluomo Paolo Maldini. Persona fidata e altruista. “Nei primi giorni a Milanello dovevo collegare il computer a internet. Chiesi a uno dello staff e mi disse che nessuno era meglio di Paolo. Ero titubante, venni contraddetto: dimostrò massima disponibilità. Prima dell’allenamento sistemò tutto, senza problemi”. Altro che presuntuoso. Il compagno più forte? Andrea Pirlo. “Carisma innato, piedi raffinati. Palmares completissimo, gli è mancato giusto il Pallone d’Oro. Si sa, i centrocampisti faticano a riceverlo. Studiavo il suo modo di stare in campo”. Quattro le presenze. Zero i rimpianti. “Dovevo mostrarmi più sicuro. Venivo da fugaci esperienze a livello internazionale”.
Prossima fermata Lisbona. Allo Sporting condividerà la stanza con un insicuro Cristiano Ronaldo: “Spesso chiedeva consigli. Pur egocentrico, temeva di sbagliare. Cercava di essere sempre perfetto. Mentre ora rincorre ossessivamente il gol, allora aveva un ampio repertorio. Pretendeva il massimo. Ancor prima di prendere la patente acquistò la Mercedes Classe C Coupé”. Squilla il telefono, l’Italia chiama. In prestito all’Avellino, prende lezioni da Zeman. “Stile troppo radicale, ne ho tratto comunque grandi insegnamenti. Una volta giocai da esterno e, anziché crossare, scaricai la palla dietro. Gli spiegai che avevo preferito prendere aria. ‘Vieni in panchina così ne prendi di aria’, la sua risposta. Impagabile”. Il record personale di 15 reti non bastò ad evitare la retrocessione.
Rifatte le valigie, un biennio alla Samp e poi al Parma. “Subii vari infortuni. Fui però fortunato a trovare Pioli, che mi spronò a continuare. Numeri da antologia ne dispensò Morfeo. Appagato, i pochi stimoli gli hanno impedito il grande salto”. A Pisa l’incontro con Ventura. Scoccò subito la scintilla. “Persi la paura di sbagliare. Ho scoperto quanto sia divertente il calcio. Fummo anche primi in classifica, smentendo le previsioni”. Incroceranno nuovamente le strade a Bari. Conte-Ventura, prove di Nazionale: “Idee molto simili, Antonio era più impetuoso”. Squalificato nell’inchiesta calcioscommesse, verrà assolto solo lo scorso maggio. Scarpette al chiodo, difende i pali dei Diavoli Rossoneri. “Facendo sport, son tornato al sogno d’infanzia: l’hockey”. Nella fine, il principio. A luglio Milan-Bate Borisov vecchie glorie, si prepara per un futuro da allenatore. E il viaggio continua…
A cura di Manuel Magarini