Faccia da bravo ragazzo, educato. E studioso. Secchione? Un pochino. “Non sono mai stato bocciato ad un esame”. E l’unico punto debole che aveva è riuscito a colmarlo con calma e dedizione. “Per imparare bene l’inglese mi ci è voluto un anno intero, il mio primo a Manchester” e non senza fatica. Un tipo tranquillo e davvero molto serio, Denis. Non fatevi ingannare dal ciuffo sbarazzino alla… “Justin Bieber! Così mi chiamava Mario (Balotelli) al City”. Solo un soprannome. Fidanzato da una vita nonostante abbia appena 22 anni - ha festeggiato sei anni in compagnia di Sandra Montoto qualche settimana fa - e totalmente devoto alla sua professione. Calciatore. Allenamenti, partitine, partitelle e partite in tv, giusto per non farsi mancare nulla: “Seguo BVB e Bayern Monaco in Germania, City, Watford o Leicester in Premier - Mahrez mi piace moltissimo - e Napoli in Italia". Mamma fa la parrucchiera, papà è proprietario di una concessionaria di Citroën a Salvatierra. Denis è sempre stato con un pallone tra i piedi fin da piccolissimo. “Ho iniziato a giocare a soli tre anni”. Prima la classica squadretta del paesino poi le giovanili firmate Celta Vigo. Il ragazzino valeva parecchio, tecnico da matti e molto dinamico: le big dd'Europa se ne sono accorte all'istante. “Ho avuto l’opportunità di andare al Real quando avevo 14 anni ma non ho voluto lasciare il Celta. Ai 17 si sono fatte avanti City e Barcellona”. E tra le due, meglio i ricconi di Manchester perché “la proposta era davvero irrinunciabile, sistemava la vita di tutta la mia famiglia”. Detto, fatto. Anche se Denis Suarez non si è mai adattato al calcio inglese fino in fondo, quel suo fisico magrolino non lo ha certo aiutato. Due anni con Mancini e uno solo con Pellegrini sono bastati… e avanzati. Prestazioni degne di nota: zero. Il ricordo: per niente positivo. “Pensavo che le cose funzionassero diversamente in Inghilterra”. Molto meglio la Spagna, Barcellona! Il sogno (quello reale) che custodiva nel suo cassetto. Insieme a tutte le maglie scambiate, una collezione infinita. “Ne ho molte. La mia della finale di Europa League vinta con il Siviglia a Cracovia. Una di Drogba! Me l’ha fatta avere (firmata) il mio amico César Azpilicueta. Una di Dzeko. Una del Celta di Guidetti, mio grande amico con cui ho giocato al City. Quella di Iago Aspas, super giocatore e idolo della tifoseria del Celta. Quella del Bayer di Chicharito. Quella di Arda Turan di quest’anno. E Halilovic. Quando ci siamo scontrati in Villarreal-Sporting lui mi chiese la mia così ce la siamo scambiata. Diventerà un top”. L’occasione in prima squadra blaugrana non arriva così via di prestiti… fortunati. Prima l’esplosione con la maglia del Siviglia - di Emery - e poi la titolarità fissa e inamovibile con Marcelino al Villarreal. “A gennaio potevo anche tornare al Barcellona ma alla fine non si concretizzò…” ha ammesso lo stesso Denis. L'amico in Nazionale: Gerard Deulofeu. Il siparietto che racconta Denis a Bein è da cappottarsi dal ridere: “Ho sempre condiviso la stanza con lui. In quel Mondiale U-20 Gerard russava da morire e molto spesso io dovevo andare a letto presto. Una notte non ce l'ho fatta, non riuscivo ad addormentarmi. Così me ne sono andato in camera di Oliver Torres. Ad un tratto qualcuno bussa alla porta: era Gerard, sonnambulo! Dicendo che sarei dovuto tornare in camera con lui, che era solo. Io gli dissi di andarsene con un ‘Vete hombre’ e lui… si è messo a dormire lungo il corridoio, per una o due ore!”.
Ragazzo sempre super serio, professionale, educato. Che non si fa mai mancare un succo d’arancia per colazione e mangia pasta e pane integrale a pranzo, insieme ai compagni del Submarino. “Qualche chilo l’ho perso”. Ma non la fame di successi. Ambizione che non cambia, Denis Suarez punta in alto. Punterà il Barcellona per caso? Certo che sì. Quello sarebbe il massimo. E non solo dei voti.