Un momento in un rumore. Reiterato, assordante, travolgente: perché per descrivere la situazione dell’Inter, crollata in un periodo di difficoltà ben superiori alle attese, oggi sarebbe bastato anche solo sentire.
50mila fischi a sommergere Spalletti e squadra al fischio finale: cerchio chiuso, nella sconfitta interna contro il Bologna, dopo le iniziali, negative reazioni del pubblico nei confronti di alcuni imputati in particolare. Perišić e la sua richiesta di cessione non accontentata, Nainggolan e un rendimento nettamente sottotono rispetto alle attese, ulteriormente complicato dal rigore fallito in Coppa Italia: clima pesante atteso dal quale anche l’allenatore nerazzurro, al momento dell’annuncio delle formazioni, non è stato risparmiato. Finendo ulteriormente risucchiato da un vortice di perdizione che, solo un mese fa, sembrava impossibile immaginare.
Confusione in una realtà capovolta, come gli striscioni esposti al contrario per protesta dalla Curva Nord. Che non risparmia critiche alla società, relative al mancato ricorso per le gare giocate a porte chiuse, ri-producendosi in altri, assurdi buu nei confronti di Mbaye condannati prontamente dal resto dello stadio; che esplode in un boato di stupore e incredulità, un minuto dopo il fischio d’inizio e insieme al resto del pubblico, quando il fiuto del gol di Icardi si schianta sull’incapacità nel sentire la porta alle sue spalle. Errore clamoroso e inusuale, su assist involontario di Poli, parte di una crisi realizzativa che per il Capitano nerazzurro dura dallo scorso 16 dicembre in campionato: per ritrovare un gol su azione, invece, serve fare rewind fino a due mesi fa.
Urlare contro il cielo non si può, con Vecino e Lautaro Martinez che peccano malamente di precisione nella ricerca del pari: farlo alla crisi realizzativa (0 gol nel 2019 in Serie A) e ad un ruolino di marcia negativo da raddrizzare al più presto, al contrario, appare doveroso. Retropassaggi in fase di possesso a causare reazioni negative in blocco: silenzio tombale, parzialmente oscurato dall’esultanza del settore ospiti, alla spizzata-partita di Santander. San Siro è apparso molto più ghiacciato di quanto potesse far registrare la reale temperatura milanese, privo di pazienza nei confronti di una squadra che sembra aver perso i propri punti di riferimento in campo: sfortunata in alcune occasioni, distratta in marcatura sull'episodio chiave del match, “priva del livello di carattere necessario” (per bocca del proprio allenatore) nel ribaltare i momenti di crisi. In un film parzialmente visto, nell’atteggiamento e nelle difficoltà, nello stesso periodo e nella passata stagione.
E quando gli unici applausi arrivano per l’ex Palacio, all’uscita dal campo, e per Ranocchia, reinventato da Spalletti nel finale come boa offensiva per sponde di testa, il quadro della serata e del momento dell’Inter appare definitivamente chiaro. In 96’ finiti per regalare il successo a Mihajlovic, alla “prima” sulla panchina di un Bologna tornato a vincere dallo scorso 30 settembre, e per certificare un dato nerazzurro inconfutabile: passando in svantaggio, il recupero finale figura impresa sinora impossibile in questa annata. Questione di testa, mentalità, mancata tranquillità e fastidiose voci, tra volontà d’addio e rinnovi non ancora firmati: quelle che si possono solo sentire, esattamente come la bordata di fischi lanciata oggi dal San Siro versione interista. Colonna sonora inevitabile ed ideale per un momento di crisi d'identità dal quale l’Inter, specchiandosi, volgendo lo sguardo indietro in attesa di una possibile, nuova rivoluzione, dovrà tentare di uscire. Prima che sia davvero troppo tardi.