Stagione 1929/30: la Federcalcio, dopo la chiusura delle frontiere nel 1927, decise di consentire il tesseramento di soli giocatori “oriundi”, ovvero di coloro che, pur nati all’estero e originariamente non cittadini italiani, lo erano diventati per via della cittadinanza italiana di un loro ascendente diretto (nonni, bisnonni ecc.).
L’Italia in questo modo tentava di restituire la patria ai suoi figli emigranti e dei quali poco si era curata. La realtà era tuttavia ben diversa: questi “rimpatriati” erano uno strumento per esaltare l’allora regime con successi sportivi, impossibili da realizzare con le sole forze “nostrane”.
Prima conseguenza? I prezzi di mercato lievitarono. Le società andavano a caccia di calciatori con cognomi italiani e, ovviamente, origini italiane. I registri anagrafici venivano a fondo scandagliati per trovare il lontano parente di qualche campione.
In quegli anni arrivarono tantissimi oriundi, soprattutto dal Sud-America. Erano soprattutto argentini, brasiliani e uruguayani, attratti principalmente dalla promessa di ottimi stipendi.
La Juventus fu una delle società più attive. Demolì infatti il primato di spesa detenuto da Rosetta (45 mila lire, ndr) con l’acquisto, nel 1928, per ben 100 mila lire, del cartellino dell’attaccante argentino Raimondo «Mumo» Orsi dell’Indipendiente.
Mazzonis, fedele braccio destro di Edoardo Agnelli e vice presidente della società, gli assicurò ben 8 mila lire di stipendio mensile, più una Fiat 509 e una villa.
Una vera enormità! Considerato che all’epoca in Italia lo stipendio dell’impiegato medio era di 300 lire.
Anche Omar Sivori, storico attaccante della Juventus, in sua vecchia intervista, raccontava come il connazionale “Mumo” Orsi alla domanda di un giornalista italiano su cosa avesse significato per lui essere stato in Italia alla Juventus si alzò dalla sedia dicendo: ”Per parlare della Juventus mi devo alzare in piedi per le emozioni che mi suscita”.
Sempre in Argentina iniziò la storia di Enrique “L’Indio” Guaita attaccante della Roma, ingaggiato dall’Estudiantes nel maggio 1933. A Roma Termini venne accolto da una folla entusiasta. La trattativa per l’acquisto fu condotta dal suo compagno di squadra Nicolas Lombardo, anche lui argentino e centrocampista giallorosso, che, in via eccezionale, svolse il ruolo di intermediario.
Anche Louis Felipe Monti, centromediano della Juventus, arrivò, nell’agosto del ’31, a Torino dall’Argentina dove da più di qualche mese aveva interrotto l’attività agonistica. Faceva il pastaio a Tigre, sobborgo di Buenos Aires dove produceva ravioli e tagliatelle. Ormai trentenne e senza allenamento era poco convinto del trasferimento, ma si fece incuriosire dallo stesso Orsi e da un certo Renato Cesarini.
Il contratto era vincolato alla perdita di peso. Nonostante le grandi perplessità dei giornalisti riuscì a scendere dai 92 chilogrammi fino ai 72, convincendo così i dirigenti bianconeri.
Monti è considerato anche l’inventore del silenzio stampa. Infatti dopo le polemiche per il suo peso all’arrivo a Torino, gli rimase sempre una diffidenza invincibile verso i giornalisti con cui non parlò più. Li giudicava capaci di esaltare o distruggere un giocatore, senza tanti problemi.
Tutti e tre contribuirono, non poco, alla vittoria dell’Italia di Vittorio Pozzo nella Coppa Rimet (Coppa del Mondo, ndr) del 1934.
I primi anni ’30 furono quindi gli anni in cui cominciò a circolare il denaro. Diventava importante la disponibilità economica anche per la conquista dei trofei, come testimoniano gli albi d’oro delle manifestazioni. Contemporaneamente apparivano figure nuove: i mediatori. Questi diventarono subito una leggenda e si racconta che negoziassero i trasferimenti degli oriundi addirittura sulle navi che li portavano in Italia.