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Data: 01/01/2019 -

Il Codice Monchi | Il ds della Roma a 360°: "Le plusvalenze, Zaniolo, Totti e la mia idea di lavoro: vi racconto tutto"

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Nuovo appuntamento con 'I Codici del Calciomercato'. Oggi, il protagonista è Monchi.

Il direttore sportivo della Roma si è aperto ai microfoni di SkySport, raccontando alcuni segreti e retroscena del suo lavoro, la sua storia da ds, il passato ed il presente in giallorosso.

"Quando arriva il mercato il mondo gira intorno ai direttori sportivi. Tutti sperano che prendiamo 3/4 giocatori. Per me il mercato di gennaio invece non cambia tanto una squadra.

Se hai bisogno di fare 4/5 acquisti significa che è stato sbagliato qualcosa nel mercato estivo... Abbiamo 16 persone, 16 scout che lavorano con me, siamo tanti, viaggiamo tanto. Non è solo Monchi che fa questo.

Come scegliamo un calciatore? Prima vediamo in generale, poi iniziamo a fare qualche giro. Ma passa del tempo. Lavoriamo dal vivo sempre ma anche dalla tv all'inizio. Una volta che hai iniziato a capire che un giocatore può avere qualcosa di interessante, lo inizi a seguire dal vivo.

Differenze tra Spagna e Italia? Qui è una vetrina, tutto esce. Per me è stato questo il cambiamento più grande. In Spagna il mercato è importante ma non diventa una notizia continua come qui. Malcom? Non voglio pensare che una squadra che spende tutti quei milioni prende un giocatore dopo aver saputo che stava per venire alla Roma.

I tifosi della Roma hanno ragione, il tifoso ha sempre ragione e quelli della Roma ancora di più. Quando si tifa per un club come questo, grande non solo in Italia ma anche in Europa, bisogna vincere qualcosa.

Dobbiamo dare qualcosa a questi tifosi. Sono tanti anni che non vincono niente. Io non sono venuto qui per vendere Salah, Rudiger, Paredes o altri. Sono qui per fare il mio lavoro e, in quei momenti, era necessario sistemare i numeri.

L'anno scorso poi, piano piano, abbiamo sistemato più o meno questi numeri ed ho fatto solo le cessioni che ritenevo utili per la società.

Certo, non ho la bacchetta magica, ho sempre lavorato sia con giovani sia con giocatori più pronti. Come sempre, servirà solo del tempo ma alla fine sono convinto che i tifosi e i media capiranno la mia idea di lavoro.

So benissimo che il tempo nel calcio a volte non c'è, però sono certo perché sicuro del mio lavoro e quello dei miei collaboratori, che avremo ragione.

Io sono più esigente con me stesso che con gli altri. Dico sempre che il ds deve avere 3/4 caratteristiche: una di queste è capire quando sbaglia. Io ho avuto la possibilità di vincere tanto ma poi sono sempre preoccupato di nuovo. Non mi fermo al successo conquistato.

Non mi nascondo mai, ci metto sempre la faccia. Ho la fortuna di lavorare in autonomia e se sbaglio, sbaglio io. Non per quello che mi dice Pallotta.

Per me il primo anno è stato il più difficile perché dovevamo fare plusvalenze importanti, ma credo che sia stato un anno ottimo nel quale abbiamo finito il campionato terzi e in semifinale di Champions League.

Quest'anno è presto per sapere dove finiremo. I bilanci si fanno a fine stagione. Però qualcosa ho sbagliato, è vero.

Zaniolo? Stavamo facendo la trattativa e noi abbiamo fatto due richieste: Zaniolo e Radu. L'Inter non voleva vendere Zaniolo, non sono scemi, ma volevano Nainggolan.

Non siamo arrivati al punto di dire: o Zaniolo o l'affare non si fa. Con Piero (Ausilio, n.d.r.) c'è un bellissimo rapporto. Ma abbiamo capito che ognuno doveva fare la sua parte.

Non pensavo che Zaniolo comunque potesse diventare subito così determinante.

Perché faccio il direttore sportivo? Io non ho mai pensato di fare il ds. Quando ho smesso di giocare mi sono laureato in Giurisprudenza perché avrei voluto diventare avvocato.

A Siviglia poi ho fatto per un anno il team manager; è stato un anno orribile finito con la retrocessione. E nessuno voleva fare il ds del Siviglia. Mi hanno chiesto: "Vuoi farlo tu?". E io difficilmente dico no. Anche se lì allora la situazione era tremenda e non si sapeva in che direzione andare. Così ho iniziato e sono arrivato qui.

Totti? E' una persona sveglia, gli piace seguirmi nelle trattative. Si inserisce sempre di più e quello che dice ha sempre un senso.

Perché mi chiamano Monchi? Perché Ramòn diventa 'Monchi', è il diminutivo. Come in Italia, Giuseppe che diventa 'Beppe'. E' un diminutivo. Anche mia mamma mi chiama Monchi e mi piace essere chiamato da tutti così".




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